Ieri il Teatro Piccolo Eliseo di Roma era pieno oltre ogni misura, come ai bei tempi di Petrolini, con moltissima gente in piedi lungo i lati della platea. Tutta quella folla era lì per ascoltare le idee di politica europea del gruppo libdem Renew Europe, in previsione delle prossime elezioni del 9 giugno 2024.
Il titolo dell’evento era “Un terzo polo dell’Unione Europea a beneficio dei cittadini europei“, organizzato dagli eurodeputati del gruppo Renew Europe, con le conclusioni del presidente del gruppo, Stéphane Séjourné e la partecipazione di tutti i maggiorenti delle varie realtà libdem italiane: Azione, Italia Viva, Liberali e Più Europa. Sono intervenuti Matteo Renzi e Luigi Marattin per Italia Viva, Riccardo Magi per Più Europa, Carlo Calenda, Giulia Pastorella e Marco Lombardo per Azione e Giuseppe Benedetto per la Fondazione Einaudi.
La formula scelta è stata quella dell’intervista uno a uno nei confronti dei leader nazionali, mentre gli esponenti delle seconde linee (se così si può definire un Luigi Marattin) sono saliti sul palco a gruppi di tre, rispondendo alle stesse domande poste dagli eurodeputati del gruppo. La platea sperava di assistere a un confronto Renzi-Calenda-Magi-Benedetto, ma è facile immaginare che il dissapore personale ormai creatosi fra Renzi e Calenda abbia fatto preferire questa formula meno faccia-a-faccia.
Tutti gli intervistati hanno parlato di grandi temi, grandi valori, analisi economiche o politiche europee. Poi è arrivato Carlo Calenda. E’ stato l’unico che ha scelto di fare un intervento non alto ma divisivo, recitando ancora una volta la parte della vittima e dell’incompreso. Un intervento che ha suscitato brusii e brontolii di disapprovazione in una parte del pubblico. La platea, che fino a quel punto aveva applaudito unita tutti gli interventi, appariva ora divisa: alcuni ostentavano un applauso di approvazione fin troppo eclatante, in difesa del proprio beniamino, molti altri provavano un chiaro fastidio verso i contenuti e i toni e financo gli atteggiamenti di Calenda.
Io stesso mi sono trattenuto dall’urlare qualcosa in romanesco, nella migliore tradizione del Teatro Eliseo. Qualcosa tipo “Da Azione se ne stanno ad annà via tutti per causa tua! L’ultimo spenga la luce!” Sono riuscito ad autocensurarmi. Quando però il leader di Azione, reagendo ai borbottii di disapprovazione di metà platea, ha minacciato “Amici di Italia Viva, se fate così, non se ne fa nulla“, mia ha strappato dalla pancia una chiosa a mezza voce, “Eh, grazie a te!” e me ne sono andato. Ma il fastidio fra i militanti era palpabile.
Anche quella ingenuità di pensare che chi lo contesti sia automaticamente un iscritto a Italia Viva è offensiva. La platea era piena di gente di tutti i tipi, e lo scorno per toni e contenuti di Calenda non erano certo limitati ai soli “renziani”.
Ieri mi sono dunque reso conto di un fatto facilmente preventivabile: fra i militanti comuni di quella che dovrebbe essere una platea tutto sommato borghese e composta, si registra ormai una insofferenza, una diffidenza, un fastidio di motissimi nei confronti di Carlo Calenda. Il segretario di Azione per altro è apparso fisicamente molto provato da questa fase storica, con un inedito ciuffo tutto grigio e assai smagrito: segno di un logorio anche personale che procura in tutti un genuino umano dispiacere.
La dico semplice: l’insofferenza, il fastidio di quella platea romana mi fa pensare che a Calenda non resti che abbandonare la politica. Non è più un dubbio SE lo farà, ma semmai QUANDO lo farà. O prima o dopo le Europee: Calenda dovrebbe tornare a fare il manager, e considerare questa stagione politica della sua vita conclusa.
Infatti, ora che a quasi tutti è diventato chiaro che il ruolo di Calenda non potrà essere quello del leader nazionale o del candidato premier di un ipoteticissimo governo del terzo polo fra 4 anni, non si capisce più il motivo dell’esistenza stessa di Azione. I partiti che sono parte di Renew Europe in Italia sono al momento tre: Italia Viva, Azione e Più Europa. Esistono tuttavia delle differenze programmatiche non banali fra le prime due realtà da un lato e Più Europa dall’altro. Differenze sottolineate dall’intervento di Magi anche ieri pomeriggio: riguardano la centralità dei diritti civili, la posizione sulla GPA e il non considerarsi equidistanti fra Meloni e Schlein. Ma fra Azione e Italia Viva non sono note delle divergenze programmatiche di rilievo, al di là forse dell’opportunità per Renzi di partecipare a conferenze di politica internazionale a pagamento. Un po’ poco, per farci sopra due partiti.
E’ però possibile che Calenda voglia continuare a guidare la sua ridotta che ogni giorno perde pezzi importanti: oggi il segretario di Azione Modena, Pietro Borsari, ha lasciato la formazione calendiana per aderire a Più Europa, ieri è stato il turno dell’ex segretario di Azione Parma, Matteo Ferroni, entrato in Italia Viva, e mi fermo agli ultimi due giorni per non infierire. Se accadrà, e se Italia Viva, Più Europa e i Liberali dovessero non andare sotto uno stesso simbolo, ci rassegneremo a non avere una compagine libdem italiana eletta nel prossimo Europarlamento, perché Azione ha ancora la capacità di portare via un terzo circa dei voti d’area, e occorre ricordare della soglia di sbarramento del 4% per le Europee. Se invece Calenda lascerà prima delle Europee, forse si potrà ricominciare un discorso unitario. A questo punto, l’ostacolo all’unità dei libdem è lui e la sua personale incapacità politica.