Durante i giorni del lockdown, e ancora adesso in fase due, chi ha contestato le restrizioni della libertà ha usato spesso un espediente dialettico: se può restare aperto un bar perché non può una chiesa? Se può lavorare una lavanderia perché non un barbiere? E così via, segnalando contraddizioni e paradossi. Aprire gradualmente, modulando le scelte, poteva essere la risposta. Ma è indubbio che ciascuna scelta contiene anche una contraddizione. È il sentiero stretto di questa fase: da una parte il rischio sociale, dall’altra quello sanitario. E in mezzo la società a tentare un equilibrio, a volte anche con delle forzature.
Con lo stesso gioco dialettico, qualcuno oggi potrebbe dire: se si pensa di rimettere in piedi la società nonostante il virus, perché non si dovrebbe anche votare? Tanto più che sono in regime di proroga istituzioni importanti come Regioni e Comuni e la prova elettorale è imprescindibile per la democrazia. Quindi si può fare e si deve tentare di farlo. Non necessariamente in estate piena, si vedrà quale può essere il periodo più adatto, meno rischioso, che dia maggiori garanzie sotto tutti i punti di vista. Ma al voto si deve andare. Il tutto va condotto, ovviamente, in condizioni di sicurezza. Ma se stiamo tutti dicendo che la fase due è la convivenza col virus, allora essa non può non includere, insieme alla vita sociale, insieme a quella economica, anche l’esercizio democratico del voto.
Chiaramente non sarebbe una campagna elettorale come le altre: il distanziamento fisico sembra il nemico numero uno della politica sui territori, del contatto con l’elettore. E non sarebbe neppure una giornata ai seggi come le altre: andranno evitati assembramenti e code e lo si dovrà fare aumentando le sezioni elettorali, aumentando i giorni del voto, probabilmente disciplinando l’accesso al seggio con un ordine alfabetico diviso per giorni o con altre idee. Sarà complesso ma sono sicura che si potrà trovare, in questo, come in tutti gli altri settore della vita civile, un punto di tutela di tutti: distanze, mascherina, igiene delle mani e possiamo riorganizzare la nostra vita. Se pensiamo di farlo per l’economia perché non per la democrazia?
Proprio perché va tutelato, insieme alla salute, anche il diritto democratico al voto, trovo inaccettabili e surreali le ipotesi di cancellare la preferenza per eleggere il Consiglio regionale e formare così un’assemblea di nominati nei listini. Qual è il senso di questa proposta? La campagna elettorale per le preferenze mette a rischio i cittadini mentre quella per il presidente o per il sindaco no? Mi sembra un argomento risibile. Semmai è vero il contrario: abbiamo bisogno proprio in questo momento di una politica più radicata, più vicina alle persone. I listini bloccati creano un ceto politico autoreferenziale, che mortifica la funzione e allontana i cittadini. Non si utilizzi l’emergenza per costruire corsie preferenziali a chi non riuscirebbe mai ad accedere a uno scranno con la sua forza elettorale e ha bisogno di essere nominato dal capo di turno. Andare al voto si può, con le dovute attenzioni. Cambiare le regole elettorali quando si è in proroga e di fatto già in campagna elettorale non si può. Sarebbe uno schiaffo intollerabile alla democrazia.
© Riproduzione riservata