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“Emendamento Pittella”: morte fiscale delle imprese. Invocando la Santa Corte Costituzionale

Giurista, saggista, editorialista
“Emendamento Pittella”: morte fiscale delle imprese. Invocando la Santa Corte Costituzionale

C’è da vergognarsi.

Sappiamo bene, però, che la vergogna appartiene alla sensibilità: privata, politica, ecc.

La radice etimologica della parola ci porta al senso più o meno profondo di “turbamento e di disagio suscitato dalla coscienza o dal timore della riprovazione e della condanna (morale o sociale) di altri per un’azione, un comportamento o una situazione, che siano o possano essere oggetto di un giudizio sfavorevole, di disprezzo o di discredito” (basti andare su dizionario Treccani o sul sito Etimo.it per avere una idea).

Se giocassimo per un attimo a scomporre il termine avremmo un risultato ancor più marcato: ver-gogna; una sorta di “vera-gogna”?

Vera gogna a cui si giunge con un nuovo modo di obbligare a far indossare il “collare di ferro che si poneva stretto alla gola delle persone messe alla berlina” (sempre Treccani).

Obbligare perché? Lo prevede la legge voluta a fine 2021 scorso.

Collare di ferro stretto alla gola perché? È l’effetto a cui si giunge, intuitivamente, stando alla portata applicativa e retroattiva (così dice la Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n. 26283/2022) della nuova legge sui ricorsi dei contribuenti che prende il nome dall’emendamento presentato in Parlamento da chi l’ha proposto.

Tutto questo senza considerare una cosa ulteriore (ma che può succedere concretamente): passare dalla gogna alla ghigliottina od all’auto-uccisione.

Non si scherza qui. È finito il momento di scomporre parole.

Dalla vergogna può passarsi ben presto allo stato di depressione indotto per il fatto di ritrovarsi in un vicolo cieco. Senza soluzioni. Senza difese. Senza possibilità di rimettersi in gioco. Senza possibilità di tornare ad esprimere capacità produttiva e capacità contributiva.

L’emendamento Pittella, allora, agisce in che termini? Facciamo un esempio.

Il Sig. Rossi ha un bar nel paesino di provincia e ha tre dipendenti; a causa di varie crisi non è riuscito a pagare tutto ciò che ha dichiarato all’erario.

Tuttavia mantiene aperta l’attività e paga regolarmente i suoi dipendenti. A fine mese non resta neanche una dignitosa remunerazione per sé e la sua famiglia (impegnata anch’essa nell’attività).

Il Sig. Rossi produce ottimi dolci, ma nella sua zona hanno chiuso 4 attività di prossimità su 5 per ogni isolato.

Nel frattempo l’Erario ha dapprima incaricato la ex Equitalia e poi l’Agenzia dell’Entrate Riscossione per recuperare i soldi non versati in relazione agli anni d’imposta non saldati.

Il Sig. Rossi non sa cosa sia una pec. È tenuto a saperlo ma non ha la condizione mentale e tecnica per impararlo. In pochi mesi viene sobbarcato di notifiche che non sa leggere perché non le sa aprire. Lui sa fare solo dolci e servire i suoi clienti come insegnato dal suo predecessore che ha tenuto l’attività in piedi per oltre quarant’anni.

Le pec dell’ente riscossore, invece, vengono tutte poste in essere da indirizzi non presenti in pubblici registri.

Al Sig. Rossi, inoltre, vengono tentate le notifiche di avvisi di addebito dell’INPS e di accertamenti esecutivi a cui si aggiunge una bella verifica presuntiva perché per lo Stato “non puoi non lavorare e non incassare in base agli indici xyzplkj” (ovviamente si tratta di indice di fantasia).

Un giorno il Sig. Rossi decide di chiudere il bar. Stanco, mortificato, deluso. Mai fatto un giorno di vacanza (così gli era stato insegnato).

Quindi decide di chiedere al proprio commercialista cosa dovesse pagare e che pendenze vi fossero da sistemare.

Il commercialista gli consegna i famosi “estratti di ruolo” ricevuti allo sportello dell’Agenzia delle Entrate Riscossione da cui emerge che il Sig. Rossi ha una posizione debitoria di circa 35.000,00 euro.

Il Sig. Rossi non l’avrebbe mai immaginato. Dalla documentazione ricevuta constata che una serie di atti (quindi non tutti) mai gli erano stato notificati.

Allora decide, con i pochi risparmi residui, di dare mandato ad un legale per difendersi poiché, pur solamente moroso, non era giusto che pagasse tantissime sanzioni, oneri di riscossione e soprattutto partite erariale diverse da quelle da lui stesso dichiarate (quest’ultime disponibile a pagarle con rateazione una volta andato in pensione).

Ecco, fino a novembre 2021 l’avvocato del Sig. Rossi poteva rivolgersi al mondo della Giustizia tributaria facendo accertare che non esistessero o fossero nulle le cartelle richiamate negli estratti di ruolo. Con l’emendamento Pittella tutto ciò non è più possibile: bisogna aspettare il pignoramento o addirittura il fallimento (che può intervenire anche dopo la fine dell’attività sia ben chiaro).

Dopo che quasi tutto il mondo dei difensori tributari si è espresso negativamente rispetto all’emendamento in questione e dopo che la Cassazione stessa avesse emesso una ordinanza interlocutoria a febbraio del 2022 affinché si valutassero profili di incostituzionalità, il 6 settembre scorso la “sezioni unite” della Cassazione ha affermato che l’emendamento Pittella ha portata retroattiva.

Quindi tutti i contribuenti che fino a pochi giorni fa avevano magari anche vinto la causa in primo grado o semplicemente iniziata quest’ultima, si rivedranno dichiarati inammissibili i rispettivi ricorsi. E ciò con buona pace del principio di rispetto dei beni previsto dall’art. 1 del prot. add.le Cedu di Parigi 1952.

Il Sig. Rossi è stato pure fortunato perché non correrà il rischio di doversi scaraventare contro il proprio difensore sempre se comprenderà che è stata la politica (non tutta ovviamente) a decidere la sua morte fiscale.

Eppure il Sig. Rossi avrebbe solo voluto esercitare un proprio diritto sacrosanto: difendersi da cose illegittime.

Perché non può più farlo?

Perché per la legge dello Stato, a questo punto, prima paghi e poi ti puoi lamentare (se ne hai le forze).

E secondo voi, se un piccolo imprenditore avesse tale forza passerebbe la vita nel segno dell’angoscia perenne di vedersi prima il collare al collo e poi pure esser scambiato per evasore?

C’è gente che sceglie di farla finita in altro modo.

E la politica dovrebbe davvero vergognarsi! Dovrebbe vergognarsi di entrare nel bar del Sig. Rossi a sentire quest’ultimo dire con garbo “gradisce il caffè o la solita pasta alla crema”?

Ma forse c’è chi non sa neanche cosa significhi alzare una saracinesca per produrre qualcosa.

Senza neanche sentirsi dire un “grazie” quando consegnerà le chiavi dell’attività al Tribunale di turno per l’asta pubblica che ne deriverà.

Chi comprerà?

Domanda inutile.

Forse meglio chiedersi chi camperà più in questo mondo pieno di regole ingiuste come l’emendamento Pittella che, mi scuserà e comprenderà il promotore, ma anche la politica, come la medicina, ha bisogno di chirurghi specializzati.

Se no il paziente può impiccarsi ben prima di conoscere il dolore dell’operazione se sa che l’unico che potrà operarlo è uno che non ha mai studiato medicina.

L’unica strada è abrogare con urgenza questa norma prima che il Paese delle micro imprese getti la spugna definitivamente.

Il passo è breve.

Chi si prende la responsabilità di salvare il Sig. Rossi? Sentiamo se c’è qualcuno. Nel frattempo questo Paese si vesta di vergogna se ha coraggio.