Il caso Tortora lo conosciamo. Chi più, chi meno. Fu uno di quegli errori giudiziari che il nostro Paese ha vissuto tra linciaggio ed incredulità. Enzo Tortora, oggi più che mai, va onorato. E va onorato non solo sul piano soggettivo, ma oggettivo. Non solo sul piano del perdono, ma del cambiamento vero. Non solo per evitare che capiti ancora, ma soprattutto per tutelare e onorare la magistratura in quanto istituzione a presidio della legalità. La magistratura è cosa seria. Sacra. Per questo fare una riforma nell’ottica tortoriana significa rendersi consapevoli che prima di tutto va fatto un salto di qualità su almeno due fronti.
Il primo affinché non ci si ammali più per la (in)giustizia. Il secondo perché la giustizia non si ammali più in quanto tale (cioè di ingiustizia). Qualcuno, maliziosamente, potrebbe etichettare questi passaggi come una sorta di utopia, ma quand’anche lo fosse non possiamo arenare l’idea di dare alla giustizia gli strumenti giusti per essere virtuosa e portare al minimo (se non allo zero) il rischio di errore davanti alla questione dell’innocenza. È certamente un “processo” complesso che involge il piano culturale del Paese, un sano esame di coscienza giudiziario, un grande e doveroso senso di responsabilità della politica, ma anche la partecipazione dei cittadini.
Quest’ultima, espressamente, è la prima che dovrebbe muovere le acque perché non dobbiamo dimenticare quanto il nostro Paese si basi sulla volontà del popolo.
La Costituzione ce lo dice in due articoli chiave:
– art. 1 “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”;
– art. 75 “È indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali… omissis”.
Ciò significa che il referendum fissato al 12 giugno 2022 è comunque una manifestazione della democrazia e va rispettata in quanto tale a prescindere dall’essere pro o contro. Ma il punto di snodo è che se la celebrazione di Enzo Tortora è sacrosanta per quel che testimonia tuttora, non dobbiamo correre il rischio di disonorare il suo sacrificio e le sofferenze di tutti coloro che (come l’ex popolare conduttore televisivo) hanno sulle spalle medesima esperienza di vita. È questo il momento della politica che, se ha il coraggio, deve operare nella realtà delle cose:
– la magistratura è cambiata rispetto agli anni ottanta, novanta e i primi del duemila nel senso che ha molte più risorse, competenze, strumenti per abbassare il rischio complessivo di “errore fatale”;
– la magistratura, nonostante quanto appena precisato, però non riesce a svincolarsi e proteggersi (la cronaca, d’altronde, ce lo rinfresca costantemente) dalla chiamata all’interferenza non funzionale con gli altri poteri.
Allora il vero rischio è che la debolezza della politica, unita alla cronicizzazione di una certa tendenza a politicizzarsi di una parte della magistratura, può portare ad avvelenare il sistema ed ad ibernarlo di paure e incapacità ad andare avanti per il bene del Paese. Ora, se pensiamo ai dati, ci ritroviamo una situazione spaventosa davanti: è il Ministero della Giustizia a riportare che nel 2021 lo Stato ha pagato circa 24 milioni di euro di risarcimenti per ingiusta carcerazione preventiva (nel 2020 il totale fu 37 milioni) e che 43 mila euro è, invece, la media-importo per caso; senonché dal 2019 al 2021 sono stati 50 i magistrati finiti sotto procedimento disciplinare. Senza considerare le più di 30 mila persone soggette a ingiusta detenzione negli ultimi 30 anni (dati dell’associazione Errorigiudiziari in collaborazione con l’Osservatorio Camere penali italiane). È evidente che c’è qualcosa che non va.
Ma diciamo con grande serenità che la colpa non è solo di una certa Magistratura (quella errante ovviamente), ipertesa e sottoposta a stress test continui (si ha a che fare con la vita delle persone), ma di un legislatore che ingolfa e crea norme su norme, a volte per gli stessi fatti, generando concorso di disposizioni che, in altri termini, porta a pene sproporzionate e disorientamento nonché incertezza su più fronti applicativi (vedasi le numerose decisioni della Cassazione). L’ingiusta detenzione, d’altronde, passa anche da questi gangli.
Nel segno di Enzo Tortora, allora, si onori il referendum e si speri, al contempo, nella riforma indirizzata ed ispirata tortorianamente prima che la giustizia stessa si ammali. In fondo anche i magistrati vogliono lavorare con più serenità e certezza. Il sorteggio alla Nordio (per il C.S.M.) potrebbe essere un’idea per evitare il cristallizzarsi di centri di potere anche nelle dinamiche e dimensioni periferiche (Corti d’appello, Tribunali, ecc.). Chissà se oltre al sistema penale, potrebbe utilizzarsi questa idea anche nell’ambito civile, tributario, amministrativo, ecc. così da ripensare, in chiave moderna, il giudice naturale enunciato in Costituzione (art. 25). Nel frattempo l’Italia paga il conto degli italiani. O vale il contrario?
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