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Fichte difende il suo Machiavelli in salsa hegeliana

Insegnante, giornalista e scrittore
Fichte difende il suo Machiavelli in salsa hegeliana

Opera a torto considerata minore del filosofo idealista Johann Gottlieb Fichte, questo Machiavelli scrittore, titolo originale Über Machiavelli, als Schriftsteller, und Stellen aus seinen. Schriften, nel primo volume dell’antologia Vesta: Für Freunde der Wissenschaft und Kunst (1807), tradotto in italiano da Federico Ferraguto per i tipi della ottima Castelvecchi (2014, € 12, pp. 116) è in realtà un gioiello che va riscoperto proprio per l’interessante punto di vista offerto dal grande filosofo tedesco sul segretario fiorentino.

E’ un testo breve ma denso, che si divide in due parti. Nell’introduzione Fichte fornisce una descrizione complessiva del carattere di Machiavelli, della sua visione della morale, del contesto in cui matura la sua opera e una riflessione sulla possibilità di rendere attuale, al 1807, il suo pensiero. Nella seconda parte, invece, Fichte fornisce una breve antologia di alcuni brani tratti dall’opera di Machiavelli, commentati in aggiunte poste di volta in volta ogni brano o gruppo di brani.

E’ chiara la stima filosofico-politica che il pensatore tedesco tributa allo scienziato politico toscano e in effetti l’intera opera si può leggere come una rivalutazione, un recupero dell’acume machiavelliano, specie dopo che nel 1782 uno dei curatori de Il Principe, il fiorentino Gaetano Cambiagi, aveva pubblicato un’edizione che presentava il celeberrimo manuale alla stregua di una satira [sic!]. Così, sin dalle prime pagine, Fichte difende il segretario fiorentino:

“Machiavelli resta aderente alla vita concreta e alla storia, che ne è l’immagine, così come a tutto ciò che possono metterci dentro l’intelletto più sottile e compiuto o la sapienza esistenziale e politica. Proprio per ciò egli è in grado di trarne qualcosa e svilupparlo, secondo quanto siamo portati a pensare, meglio di tutti gli altri più recenti scrittori della sua specie.” [23]

Anche se poi Fichte, da bravo idealista, non risparmia una stoccata al suo maestro nel rigo dopo: “Ma le vedute più elevate della vita umana, quelle che possono essere conseguite dal punto di vista della ragione, restano completamente fuori dal suo orizzonte.” [23]

Machiavelli scrittore nasce nel particolare contesto segnato dall’occupazione napoleonica della Germania. Come sempre, il contesto è particolarmente importante: è probabilmente a causa dei fatti storici coevi che troviamo in queste pagine, a sorpresa, un Fichte anti-kantiano, in opposizione radicale al Kant cosmopolita e pacifista de La pace perpetua  (Zum ewigen Frieden. Ein philosophischer Entwurf), del 1795, e anzi precursore di quella dottrina dello Stato che renderà famoso – ma solo a partire dal 1821 – il contemporaneo Hegel. Secondo Karl Popper, un Hegel tristemente famoso come ispiratore degli stati dispotici novecenteschi, per via della sua vera e propria statolatria in cui lo Stato rappresenta “l’incedere di Dio nel mondo”.

A questa situazione di dipendenza e sottomissione del popolo tedesco Fichte reagisce con forza nel Machiavelli, preparando il terreno alla sua ben più famosa opera (e altrettanto contestata, in seguito) Discorsi alla nazione tedesca, che infatti escono l’anno dopo, nel 1808. Una impostazione che poi ritroveremo anche nelle Lezioni sulla dottrina dello Stato pronunciate nel 1813. L’aspra rivalità, politica, culturale e militare tra la Germania e la Francia, che emerge nelle pagine fichtiane su Machiavelli, è di fatto uno degli elementi più importanti per comprendere l’attenzione del filosofo di Rammenau per il pensatore italiano. Ecco dunque che Fichte spiega in modo cristallino la differenza che passa fra la responsabilità personale di un comune cittadino e quella politica di un uomo di Stato:

“Può anche essere legittimo che è un privato cittadino dica: ‘Io ho abbastanza e non voglio altro’. Con questa sua modestia non rischia di perdere anche quello che ha. Se qualcuno andasse a cacciare nelle sue proprietà, infatti, sa di potersi rivolgere a un giudice. Ma quello Stato che disdegna di appropriarsi di nuove forze per difendere i suoi possedimenti, quando magari viene minacciato con le stesse forze che ha sciupato l’occasione di acquisire, non trova alcun giudice a cui poter denunciare la sua privazione.” [54]

E ancora:

“Il principe appartiene alla sua nazione, tanto completamente e pienamente quanto questa appartiene a lui. La sua missione, racchiusa nell’eterno consiglio divino, è affidata alle sue mani ed egli ne è responsabile. Non gli è affatto permesso allontanarsi arbitrariamente dalle regole che intelletto e ragione esigono per amministrare gli Stati. Se, per esempio, avesse trascurato la seconda regola che abbiamo appena enunciato, a danno della sua razione, non gli sarebbe permesso a farsi avanti a dire: ‘Io ho creduto nell’umanità, della fedeltà e della sincerità’. Questo può dirlo in privato cittadino, quando fallisce. Ma il principe non può farlo. Non è lui che va in rovina e non ci va da solo. Se vuole, creda pure dell’umanità per ciò che concerne la sua sfera privata. Quando sbaglia il danno è tutto suo. Ma non mette a repentaglio la nazione sulla base di questa sua fede. Non è giusto infatti che questa, altri popoli e forse anche le più nobili conquiste che l’umanità ha ottenuto con lotte millenarie, vadano in frantumi solo perché si possa dire che lui ha creduto negli uomini.” [58-9]

Una differenza che ancora oggi molti italiani non colgono, pensando che i politici e gli statisti debbano esser pagati meno di quanto siano, non comprendendo che se fallisce il manager di una grande azienda, fallisce solo quell’azienda, mentre se fallisce un premier, può portare sul lastrico un’intera nazione. Ma in queste righe si nota come Fichte non creda punto al Kant fondatore del Diritto internazionale de La pace perpetua. Una convinzione che emerge ancora più chiara nel passo successivo, che pare scritta più dallo Hegel dei Lineamenti di filosofia del diritto:

“Nella sua vita privata il principe ha il dovere, come il più umile dei suoi sudditi, di osservare le leggi universali della morale. Nei rapporti con il suo popolo pacifico deve osservare la legge – e il diritto – di trattare tutti secondo la norma vigente, anche se al potere di legiferare, e cioè di perfezionare lo stato giuridico. Nei suoi rapporti con gli altri popoli, però, non esiste legge, nel diritto, al di fuori di quella del più forte.” [59-60]

Da notare che alcuni brani del Machiavelli, e in particolare il paragrafo sulla Libertà di stampa e la Conclusione, relativa al confronto tra francesi e tedeschi a partire da un’analisi di passi machiavelliani, vengano pubblicati anche all’inizio dei Discorsi alla nazione tedesca. Come i Discorsi, anche Machiavelli scrittore nasce da un atteggiamento violentemente antifrancese, che Fichte motiva sotto il profilo politico pur traendone, in maniera più ampia nei Discorsi, una serie di conseguenze a livello teorico e come il Machiavelli, anche i Discorsi ebbero un rapporto tormentato con la censura.

Assolutamente da gustare poi la seconda parte del libretto, dove Fichte si diverte a citare alcuni passi (sia celebri che meno celebri) dell’opus machiavellico e di commentarli da par suo. Insomma, una lettura imperdibile per gli amanti della filosofia politica.