I miei lettori sanno che sono da tempo schierato per una radicale riforma della giustizia. E che ormai mi scandalizzo solo di fronte agli addetti ai lavori che fanno finta di cadere dal pero di fronte al puzzo della cloaca del “sistema”. Scoperchiato dal duo Palamara-Sallusti. Addetti ai lavori che, oltre a magistrati, politici, avvocati e giornalisti, considero anche, ovviamente, gli appartenenti alle forze dell’ordine. Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza. Almeno chi di loro ha avuto qualche esperienza di polizia giudiziaria.
Qualche giorno fa ho invitato su Facebook i miei amici, seppure in un post pubblico, a firmare i referendum per una giustizia giusta. Nel post precisavo che non credo sia la soluzione. Anche perché i temi che ne sono oggetto non ne comprendono tutti i problemi.
Ma che ritenevo l’indizione dei referendum un grande segnale della volontà popolare di mettere fine al «sistema» che ha governato la magistratura italiana per oltre tre decenni.
Aggiungendo che io avevo già firmato presso il comune del mio luogo di vacanza in Italia. Non potendo ancora farlo in Belgio. Dove vivo da oltre trent’anni.
Il dissenso di un ex collega in Fiamme Gialle, per il mio invito a firmare per una “giustizia giusta”.
Il mio succinto post, corredato dalla paginata del Riformista che invita a firmare, ha attirato l’attenzione anche di un collega di giubba della mia precedente vita professionale. Quella di Ufficiale in servizio nella Guardia di Finanza.
“Egregio Alessandro, – mi ha scritto nel post pubblico, e che tale è rimasto – ma tu sei il Butticé che è stato ufficiale della Guardia di Finanza per tanti anni all’estero? No, non penso proprio. Non penso che una persona che ha fatto parte per tanti anni di uno tra gli organi istituzionali della Repubblica italiana ora “tifa” e invita a “tifare” per sei referendum per fare riformare un Organo costituzionale quale è l’Ordine giudiziario direttamente dagli italiani. Ma sarà un caso di omonimia.”
Gli ho risposto che non si trattava di omonimia. Ma che per quasi tre decenni – dal 1990 – avevo potuto vedere da osservatorio privilegiato – quello della cooperazione giudiziaria e di polizia dei servizi anti-frode dell’Unione Europea -, e a volo di elicottero su tutto il Paese, come davvero funziona la giustizia italiana. E confrontarla con quella degli altri paesi Ue. Che, pur mai perfetta, non ha le singolarità estreme di quella italiana. E per questo ero più che convinto della necessità delle proposte referendarie.
Gli ho anche precisato che se non ne fossi convinto, da addetto ai lavori quale mi ritengo, vorrebbe dire che sono in malafede. Oppure che ho vissuto – come tanti che ora cadono o fanno finta di cadere dal pero – col prosciutto sugli occhi per quattro decenni di carriera in Fiamme Gialle.
Poiché molto di quello che penso, perché visto con i miei occhi – e che solo in parte posso scrivere, per ragioni di riservatezza e lealtà istituzionale con l’Ue – l’ho pubblicato, ho invitato il mio vecchio collega a leggerlo più dettagliatamente sulle pagine del mio blog su Il Riformista.
Ho concluso manifestandogli la mia difficoltà a comprendere la sua sorpresa per il fatto chi ha servito con disciplina ed onore le istituzioni repubblicane, osservandone sempre la Costituzione e le leggi, oltre a quelle dell’Unione Europea, possa avvalersi del diritto referendario attribuito ai cittadini dall’articolo 75 della Costituzione.
Il «sistema» non esiste, ma esiste solo qualche «mela marcia», come nelle forze di polizia?
“Egregio Alessandro, mi spiace che tu sia stato così sfortunato (posizione privilegiata, mah !) di avere toccato con mano che i tanti mali dell’Italia derivino dal sistema perverso della magistratura (che mi pare conti circa 9000 persone)”, mi ha risposto il vecchio collega. “”Forse” anch’io ho visto da vicino le varie Autorità Giudiziarie andando a testimoniare anche da Colonnello e ho conosciuto tantissimi magistrati di valore che hanno e cercano di applicare giustizia. Qualche mela marcia certo che c’è come quelle che abbiamo avuto anche nella Guardia di Finanza. Ma referendum verso la Guardia di Finanza, per esempio, per smilitarizzarla non ne ho visti in giro. Tu li sponsorizzeresti? Il “caso ” Palamara non avrebbe dovuto sorprendere te che per decenni hai toccato con mano le perversioni delle nomine ed altro. L’ipocrisia è di coloro che ora, a cominciare dai politici di turno, fanno gli scandalizzati quando sono loro, e non solo ma anche militari, imprenditori, pubblici ufficiali in genere a cercare e stringere rapporti con la magistratura. Se poi hai visto tutto questo sistema da decenni potevi denunciare prima così forse avresti potuto svegliare il popolo italiano dei dormienti, di coloro che non hanno avuto il privilegio di essere nei tuoi ruoli. Da vero garantista quale dovresti essere (io cerco di esserlo verso tutti, dal trafficante di droga al cosiddetto colletto bianco) forse è meglio attendere gli esiti delle inchieste giudiziarie e di quelle disciplinari. Per l’art 75 non ti fa onore averlo citato a me, che non appartengo né sono appartenuto ad ideologie così becere, che sono di quelli che vogliono imporre al “popolo” i loro semplicistici pensieri. Non voterò i vostri referendum (che sono stati proposti da voi nel momento che attendevate) ma ovviamente vi auguro buona fortuna e attenderò con ansia gli effetti assieme a quelli della cd riforma Cartabia”.
Visto il tono preso, dopo qualche ulteriore battuta che ha rischiato di scivolare in sterile polemica social, ho concluso invitandolo nuovamente a leggersi i miei scritti sul Riformista. Dove spiego più in dettaglio le mie ragioni. Non senza esortarlo anche a limitarsi ad occuparsi del proprio onore. Senza spingersi ad ergersi a giudice di quello altrui.
“Egregio Ufficiale della Guardia di Finanza, buona vita a te che mi pare abbia goduto per tanto tempo delle Istituzioni e che ora, in pensione, fai il pubblicista indicando ai poveri mortali i mali da sanare per la salvezza dell’Italia (ora c’è quello identificato nell’intera Magistratura)”, è stata la sua risposta.
Solo a beneficio degli altri lettori del mio post, pubblico, mi sono limitato a confermare che la mia antica convinzione della necessità di una radicale riforma della giustizia italiana non è attenuata dal mio profondo attaccamento alle Istituzioni Repubblicane. E neppure dalla conoscenza personale di molti magistrati galantuomini (sicuramente la maggioranza). E neppure da quella di un discreto numero di quelle che lui chiama “mele marce”.
La mia profonda convinzione, proprio per il mio grande rispetto per le Istituzioni che ho servito, deriva dalla consapevolezza della necessità di eliminare il “sistema” denunciato molti anni fa da Francesco Cossiga, Stefano Livadiotti, Carlo Nordio, e moltissimi altri. Ben prima del più recente Luca Palamara e delle sacrosante battaglie del Riformista. Sistema che il collega, che mi ha dato l’impressione di essere un seguace della linea di un Quotidiano nazionale di Fatto piuttosto giustizialista, doveva essere occupato in altre faccende se non se ne fosse accorto dell’esistenza. Difendendolo ora con la teoria di « qualche mela marcia ». Perché l’esistenza del “sistema”, come in parte anche lui ammette, non poteva essere sfuggita a nessuno che abbia svolto una qualche attività di Polizia Giudiziaria. Ed è sistema che non si può eliminare facendo affidamento sui tanti galantuomini che fanno parte della magistratura. E nemmeno sul perseguimento delle poche mele marce. Che hanno dimostrato essere in grado di poterlo persino gestire. Perché si potrebbe eliminare soltanto attraverso una radicale e profonda riforma del funzionamento della magistratura. Riforma che stanno tentando di iniziare ad avviare un Presidente del Consiglio ed un Ministro della Giustizia con i fiocchi. Che hanno tuttavia bisogno di un grandissimo sostegno popolare, ancor prima che politico, per provare a scalfire il potere mandarino che nessun governo è riuscito a scalfire in 30 anni.
Servitori delle istituzioni e firmatari dei referendum
Le mie certezze non derivano quindi dalle conoscenze di singole persone. Ma dallo studio comparato sul campo (per quasi 3 decenni) di 28 sistemi processuali. Non solo penali, ma anche amministrativi e civili.
Nonostante io continui e continuerò ad esprimere liberamente il mio pensiero in proposito, resto purtroppo profondamente dubbioso che una seria riforma della giustizia in Italia possa essere vista dalla mia generazione. Perché “il sistema” è ancora troppo radicato. Da un radicato intreccio di interessi. Al quale il collega fustigatore del referendum ha peraltro fatto cenno.
Anche se sono sempre più, tra la maggioranza silenziosa dei magistrati galantuomini, quelli che cominciano a denunciare pubblicamente la necessità di una radicale riforma. Appoggiando apertamente persino le proposte referendarie.
Da ultimo l’ex numero uno della Procura di Torre Annunziata, già sostituto Procuratore Generale di Napoli, Raffaele Marino. Icona della lotta alla Camorra, è stato tra i primi a raggiungere il gazebo allestito dal Riformista all’ingresso del Tribunale di Napoli con un solo obiettivo: sostenere la battaglia per una giustizia non solo più giusta, ma anche più efficiente e credibile.
Perché firmare la proposta di referendum diventa un dovere morale soprattutto per gli addetti ai lavori. Siano essi magistrati, avvocati, giornalisti o appartenenti alle forze di polizia. Categorie che tutte, assieme ad alcune parti politiche, hanno tratto e traggono vantaggio dal “sistema” che ha governato dietro le quinte il nostro Paese per oltre trent’anni. Categorie nelle quali molti dei loro appartenenti, con l’appoggio del “sistema”, hanno persino costruito le proprie carriere. A volte distruggendo, assieme alla vita loro e delle loro famiglie, quelle di potenziali “concorrenti”. Alimentando, con peccati di azione o di omissione, un mostro giustizialista che si è impadronito da anni del paese. Alle cui fauci non riesce ormai a sfuggire neppure chi lo ha governato per anni (Palamara docet).
Perché così pochi a denunciare il sistema?
Perché sono così pochi i giornalisti, ma anche avvocati e politici, che hanno il coraggio di denunciare il sistema? Forse perché molti di loro è proprio al “sistema” che devono i loro successi professionali? O forse solo per semplice paura? Come hanno ovviamente paura – e posso comprenderlo – gli appartenenti alle forze dell’ordine in servizio. O che da poco hanno lasciato il servizio. In un paese come l’Italia in cui il detto “male non fare, paura non avere” non può mai essere ispirato da saggezza. Perché nel nostro paese sono proprio gli innocenti, potenzialmente trasformabili in una frazione di secondo in presunti colpevoli, a doversi preoccupare della giustizia.
Un mio amico magistrato mi diceva saggiamente: “non è quando hai torto che ti devi preoccupare della giustizia. Ma quando hai ragione. Perché se hai torto, il peggio che ti può capitare è che ti sia dato torto. E potrebbero persino darti ragione. Ma è quando hai ragione che puoi rischiare che ti sia dato torto”. L’esperienza sul campo mi ha confermato questa sconcertante verità . E dovrebbe averla confermata a tutti gli addetti ai lavori. Come mi ha insegnato che chi ha davvero poco da temere dal “sistema”, sono i delinquenti incalliti. Che ben sanno che a processo, e soprattutto a condanna definitiva, arrivano nella maggior parte dei casi solo i ladri di polli.
Firmare i referendum un dovere morale anche verso i tanti appartenenti alle forze dell’ordine vittime del “sistema”.
Io mi permetto quindi la libertà, da uomo delle Istituzioni a riposo, di denunciare quello che posso. Perché sono convinto che “il sistema” sia la più grave piaga nazionale. Che può infettare ogni cittadino potenzialmente presunto colpevole.
Tra le tante vittime del sistema, ho personalmente visto anche carriere e vite di colleghi delle forze di polizia distrutte da inchieste giudiziarie nate e basate sul nulla. E che nel nulla sono poi finite. Ma solo dopo lunghi anni di sofferenze e di gogne mediatiche e professionali. La stessa cosa può ovviamente succedere anche in altri Paesi. Ma non con la frequenza, ed il metodo da roulette russa, che caratterizza la vita professionale di un servitore delle istituzioni in Italia.
Ed è per questo, nonostante la sorpresa del collega di giubba, che mi permetto di continuare ad esortare a firmare per i referendum. E continuerò a farlo. Con spirito di servizio. Ma anche di solidarietà per i tanti colleghi che non possono farlo apertamente. Per ragioni diverse.
E lo faccio assumendomi persino l’onere di una costosa assicurazione per la protezione legale e la copertura della responsabilità civile da attività giornalistica. Che nessun giornale paga. Anche se è noto che certi temi, in Italia, sono ad altissimo rischio. Che diventa rischio assoluto, di querele temerarie, quando si parla di giustizia e di “sistema”.
L’italico “tengo famiglia” non aiuta certo la battaglia civile per una giustizia giusta
Voglio quindi concludere qui la mia risposta al pubblico commento social del mio collega in Fiamme Gialle. Confermando la mia fierezza di essere un ufficiale in congedo della Guardia di Finanza. E come tale quella di essere stato un servitore delle Istituzioni. Repubblicane e dell’Ue. Ma non sono meno fiero per aver aver firmato per l’indizione dei referendum sulla giustizia giusta. Perché da cittadino, prima che da finanziere, considero il referendum, per un tema come lo smantellamento del « sistema », la massima espressione della possibilità di influenza del potere legislativo da parte dei semplici cittadini. E la speranza di poter così contribuire ad aiutare il Governo, il Ministro della Giustizia, e soprattutto il Parlamento, a prendere il coraggio a quattro mani. E per farlo dico e scrivo quello che moltissimi poliziotti, carabinieri e finanzieri in servizio, o da poco in congedo, pur pensandolo, non possono permettersi di dire pubblicamente.
Come non sempre possono dirlo molti giornalisti, avvocati, politici e persino magistrati.
Al pari di alcuni appartenenti alle forze dell’ordine in congedo che (guarda caso sembra essere il caso anche del mio collega fustigatore del referendum sulla giustizia giusta) svolgono oggi, da pensionati pubblici, attività professionali o di consulenza, anche per autorità giudiziarie e di controllo.
Perché, secondo italica tradizione, “tengono famiglia”.
E quindi, se “tengo famiglia”, è sempre molto più prudente “attaccare il ciuccio dove vuole il padrone”.
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