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Filippi e la public history ai tempi degli stramaledetti social

Insegnante, giornalista e scrittore
Filippi e la public history ai tempi degli stramaledetti social

Francesco Filippi è quell’apprezzato esperto di “public history” che ha dedicato ben tre volumi per Bollati Boringhieri a smitizzare, smantellare, smontare una serie di vulgate particolarmente poco informate ma assai diffuse sul fascismoCon questa sua recentissima Guida semiseria per aspiranti storici social (Bollati Boringhieri, 2022, pp. 128, € 10) ha deciso di riportare le sue impressioni di storico attento a come il racconto storico è riprodotto oggi sulla rete. L’autore naviga e analizza gli ambienti social in cui si tenta (inutilmente, verrebbe proprio da dire) di “discutere” di Storia. L’approccio è quello dell’entomologo che, per capire gli insetti che studia, si traveste da insetto a sua volta.

La prima parte è dunque un susseguirsi di brevi capitoli in cui si raccontano le varie disavventure e frustrazioni incontrate dall’autore o da suoi colleghi nell’interagire con il meraviglioso “popolo della rete”. Avete presente i famosi “leoni da tastiera”, che scambiano sempre la discussione per l’aggressione nei confronti dell’autore di qualunque tesi? Ecco. Non vi sto a elencare quali disavventure & frustrazioni sono qui tratteggiate perché grosso modo ciascuno di noi ci si è trovato invischiato più di una volta. A conferma che esistono dei pattern — vogliamo dire sociologici? e diciamolo; e se preferite con l’attuale ministro della Cultura il termine italiano, direi degli andamenti — comuni un po’ a tutti i campi, dalla reductio ad Hitlerum al “noi” inteso come us vs them“. Dalla eterna confusione fra “colpa” e “responsabilità”, ai macroerrori di anacronismo. Dalla mancanza di relativismo culturale che conduce alla cancel culture, al benaltrismo. Dal tifo da stadio, al manicheismo, senza dimenticare il sempieterno “mio cuggino mi ha detto“. Ancora: dalla finta citazione dell’ipse dixit, all’errore ingenuo del cattedratico che pensa di poter spiegare (il povero Orsini direbbe “dimostrare”) alla sua platea virtuale di non-studenti aggressivi e ignoranti sulla base di fonti, riflessioni, dati e ragionamenti ex-cathedra. Tutta roba sempre presa dagli interlocutori come provocazione o tentativo di vantarsi di una propria competenza, un peccato mortale questo, vissuto sempre come disdoro personale dal resto degli… utenti, chiamiamoli.

Ma perché Filippi ha pensato di fare un libro del genere, e perché un editore serio e rigoroso come Bollati Boringhieri glielo ha pubblicato? La ragione la troviamo verso la fine del volumetto e non è sciocca. Là dove dice “In questo senso il mondo della storia online è un’opportunità di studio enorme per chiunque voglia comprendere il rapporto tra gli individui, le comunità e addirittura le società e il tempo. Anche perché chi si occupa professionalmente di questi argomenti deve tenere presente: alla gente piace molto parlare di storia e lo fa dappertutto. Il passato è ancora, nonostante decenni di presentismo spinto, una parte centrale del mondo delle idee e dell’immaginario comune in cui le persone vogliono stare.” (106). E ancora: “L’opportunità di avere milioni di persone che spontaneamente dichiarano quel che pensano sul passato non può essere sottovalutata da chi il passato lo studia e lo interpreta.” (110).

Filippi, insomma, ritiene che i social siano la rivoluzione che cambia il modo di raccontare la storia, di informarsi, di cercare fonti, di vagliarle. E’ ben cosciente di quanto poco questi processi critici vengano portati avanti da chi, al momento inflaziona i social, e però dice che gli storici di professione non possono ignorare o far finta che tutto il traffico che si registra sui canali virtuali dove si dibatte di storia non abbia rilevanza.

Insomma, può darsi che “malerrima tempora currunt” e già sento il coro dei miei prof della scuola media inferiore recitare “sed peiora parantur“, ma lo spirito dello scienziato storico, dice Filippi, deve comunque essere quello di interpretare il presente e sapergli raccontare il passato evitando atteggiamenti elitari, torri eburnee e campane di vetro che contribuiscono solo ad allontanare dalle masse (e dai giovani, aggiungo io) una comprensione della storia e del passato meno stronza e farlocca. Lo ammetto: non siamo del tutto lontani da “Mangiate merda: milioni di mosche non possono sbagliare”, ma va detto che le riflessioni di Filippi su un argomento così banale non sono mai, a loro volta, banali. E allora via, assaggiamo.