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Fine Vita: superare gli steccati

Giornalista e saggista
Fine Vita: superare gli steccati

Da “La Civiltà cattolica” arriva una lezione di democrazia e di civiltà. E per di più sul crinale difficile e controverso del “fine vita”, la rivista le cui bozze vengono approvate dalla Segreteria di stato, indica una strada possibile. Di fronte al referendum ed alle derive che avrebbe se passassero i Sì, dice padre Carlo Casalone, dall’alto della sua esperienza di medico, teologo, accademico della Pontificia Accademia per la Vita, meglio la legge in discussione. Che almeno ha il merito di essere una legge, quindi se ne può discutere e si può modificare. E tutto perfettamente in linea con il Magistero. L’articolo che analizza la legge è pubblicato sul sito, in anticipo, rispetto all’uscita sulla rivista di sabato 15 gennaio.

La dottrina della Chiesa ha una posizione ferma sull’illeceità dell’assistenza al suicidio (pur considerando legittima la sospensione dei trattamenti quando diventano “irragionevoli” e indica dei criteri di valutazione in merito). Però nella valutazione di una legge dello stato devono entrare in campo considerazioni di tipo diverso (poiché gli stati teocratici, almeno in Occidente, non esistono più…). E qui entra il tema delle “leggi imperfette”, un criterio di valutazione che la Chiesa usa quando ritiene possibile un compromesso accettabile. Con l’espressione “leggi imperfette” si indica una “via di mezzo” per rendere praticabile il dialogo con la società civile e la politica, evitando scontri e rotture rovinose.

Di questo ampio e denso articolo vanno evidenziati alcuni aspetti di assoluto rilievo. Pur se riferito ad una discussione specifica, il tema delle “leggi imperfette” è di estremo interesse nel guardare in modo nuovo al rapporto tra la Chiesa e le società postmoderne e secolarizzate, aprendo spazi di dialogo invece di scontri. Oggi, poi, sottolineare l’autonomia e la legittimità di ogni decisione del singolo (anche nel decidere di morire) sembra una affermazione dei diritti mentre, a meglio guardare, porta ad avallare una visione “contrattualistica” della medicina, per cui il paziente diventa un “cliente” a fronte di una richiesta di prestazione all’esperto e tutto si risolve privatizzando la medicina a scapito della dimensione della salute pubblica.

In che modo imboccare altre strade? Forse partendo da una considerazione meno riduttiva delle relazioni interpersonali, tenendo conto della complessità delle persone, del fatto stesso che il consenso non è mai “solo” informato ma si dà sulla base del dialogo e della fiducia. In un contesto relazionale dinamico, la vita è “mia” però allo stesso tempo le decisioni di ognuno hanno ricadute sociali; e gli altri possono difendermi/tutelarmi in una visione condivisa della vita, dei rapporti, delle scelte. E con buona pace di tutti i fondamentalisti della “disponibilità” ad ogni costo o della “indisponibilità” ad ogni costo della vita umana. Fondamentalisti dell’una e dell’altra sponda che dimenticano un tema emergente e prepotente – per la Chiesa è una linea emergente e destinata a sviluppi etici; i fondamentalisti ci facciano i conti! – cioè che la riflessione più aggiornata, soprattutto dopo la pandemia, parla sempre più spesso di “One Health”. Cioè i collegamenti tra tutti gli esseri viventi sul Pianeta, all’interno di un’unica biosfera, incidono sulla salute di ognuno e di tutti. Altro che “disponibilità” e/o “indisponibilità”. Siamo di fronte a scenari nuovi e complessi e le “risposte” vanno aggiornate. Premere F5, please, e riflettere!