Con l’avvento del vaccino finalmente (?) si intravede la luce in fondo a questo buio tunnel costruito dalla pandemia. La città e le nostre vite saranno però presto a un bivio: tornare alle corse frenetiche di prima, e quindi all’operatività h24, oppure mantenere alcuni suggerimenti introdotti da questi mesi a velocità ridotta?
Di fatto si sa, dietro a ogni percorso si cela spesso una storia fatta di sacrifici, determinazione e soprattutto una strategia con la quale raggiungere i propri traguardi e superare gli ostacoli. E tutto questo vale tanto per un atleta, quanto per una comunità di cittadini com’è quella milanese, che da anni sostiene e traina il successo dell’unica città metropolitana italiana.
Il percorso di Milano è evidente: dopo la buia parentesi degli anni ‘90 post tangentopoli, nei primi anni del 2000 a importanti innovazioni urbanistiche è corrisposto un sostanziale immobilismo sociale e culturale. Appena 10 anni fa Milano seguiva la crescita del Paese pur mostrando evidenti limiti; come quelle strade vuote, dove le uniche porte aperte erano quelle dei salotti delle élite e dei (pochi) locali alla moda, nei quali per accedere occorrono soldi e amicizie. Un periodo al quale è poi seguito un cambio di passo netto, segnato dall’apertura al mondo, il salto culturale, l’entusiasmo ritrovato, la corsa alla crescita e al rafforzamento della sua leadership nazionale generato da una svolta politica. La vittoria di Pisapia e poi quella di Sala hanno infatti saputo trasformare la metropoli, rendendola quella città, che prima del Covid, era ammirata in tutto il mondo.
Si potrebbero citare molti dati a sostegno di questa tesi, ma per chi vive a Milano il cambiamento rispetto alle sindacature di destra degli anni ‘90 è evidente. La città, grazie alle grandi fiere come Expo, ma soprattutto con le tante iniziative cittadine che in questi 10 anni hanno riguardato tutta Milano (da Bookcity a PianoMilano), ha saputo sostituire la retorica della città chiusa con un’immagine di dinamicità e internazionalizzazione che in Italia non ha eguali. Animata da una visione e dalla volontà di creare una metropoli aperta e a disposizione di tutti: una Milano che chiede tanto, ma che restituisce altrettanto ai suoi cittadini, indipendente dal loro fatturato. Tuttavia, questo cambio di marcia ha imposto dei sacrifici alla cittadinanza milanese, come ad esempio un marcato rincaro del costo della vita, la carenza di soluzioni abitative a prezzi accessibili e delle limitazioni al tempo dedicato alla propria sfera privata in favore di un impegno lavorativo maggiore, che per molti si è trasformato un ciclo insostenibile esemplificato dalla sigla h24 e dalla pagina Facebook del Milanese Imbruttito. Questi fattori impongono una riflessione, che la pandemia ha reso solo più urgente, imponendoci di sperimentare delle alternative per una Milano più vivibile. Si è infatti passati da un ritmo di vita agonistico, dove ogni individuo era proiettato al solo lavoro e all’accrescimento del valore della città, a uno stop forzato, una sorta di infortunio, che di colpo ha cambiato la prospettiva a molte persone. Attraverso la pandemia si è infatti scoperto il valore degli affetti, esemplificato dalla caccia al congiunto, ma anche dalla consapevolezza che una vita trascorsa sul lavoro lascia dietro di sé una casa spenta, spesso vuota di voci e priva di calore umano; perché in fin dei conti, per molti gli unici amici erano quei colleghi che ancora oggi possono vedere e sentire solo su Zoom. A questa presa di consapevolezza si è aggiunta quella del bisogno di verde pubblico, di un colore che non sia il grigio delle facciate e dell’asfalto, accompagnato del suono prodotto dalla natura. Insieme a tutto ciò, si sono inoltre riscoperti i negozi di quartiere, nonché quest’ultimo e la sua popolazione, troppo spesso snobbata per una delle vie principali della città, oppure per un grande centro commerciale. Persino il dirimpettaio, il vicino del balcone adiacente al nostro e di cui sino a prima della pandemia si sapeva poco o niente, è ora diventato un volto noto e alle volte qualcuno con cui parlare e condividere una situazione di disagio.
Si può dire che la pandemia abbia assolto questo compito: ovvero quello di mostrarci un’altra Milano, spesso offuscata dalle luci della ribalta, ma che esiste e di cui occorre tener conto per progettare una città a misura d’essere umano. Ed è questo il bivio al quale ci ritroviamo e che è riassunto nella domanda “che cosa facciamo finita la pandemia? Torniamo completamente al progetto della Milano di pre-Covid, oppure integriamo quanto appreso da questo stop forzato? D’altronde non si può sempre correre e come ogni sa atleta, è necessario anche progettare delle pause, capitalizzare i successi e darsi una vita che sia tale: alla giusta distanza dalle palestre e vicino ai propri affetti. Ecco, è forse questo il traguardo a cui occorre pensare oggi, ovvero a una città più vivibile per i propri cittadini, attenta a valorizzarne in primis la salute fisica, mentale, sociale e che vada oltre una semplice quantificazione del fatturato. Una Milano insomma, che si prenda cura dei milanesi, vero tesoro della città e senza i quali nessun obiettivo sarebbe oggi raggiungibile.
© Riproduzione riservata