La domanda potrebbe essere un’altra. Fusioni e acquisizioni. Cosa c’entrano i governi?
A quanto pare c’entrano, e anche quando si tratta di operazioni di mercato tra privati, il naso ce lo mettono eccome!
A volte i governi usano l’arma della persuasione politica per cercare di bloccare operazioni di mercato indesiderate ma ricorrono sempre più spesso alla giustificazione inappellabile della tutela dell’interesse nazionale. In Italia questa difesa è demandata all’esercizio dei poteri speciali, il fantomatico golden power. I poteri speciali dello Stato in materia di assetti societari, sono stati rafforzati in anni recenti per abbracciare un ambito di applicazione più ampio. Ma non solo in Italia.
Molti paesi hanno introdotto meccanismi di controllo degli investimenti diretti esteri, alla ricerca di un equilibrio tra tutela della sicurezza nazionale e crescita economica. Eppure, la prospettiva politica delle operazioni di acquisizione è sottovalutata dalle aziende: nella loro percezione, tutto viene ricondotto ad un procedimento esclusivamente autorizzativo nel quale devono rispondere in modo adeguato alle richieste di Antitrust, Consob, Banca d’Italia, delle Istituzioni omologhe negli altri Paesi nelle quali quella operazione ha un impatto e della DG Concorrenza della Commissione Europea.
Gli esempi di operazioni affossate dalla politica non mancano. Ad esempio, la più importante battaglia degli ultimi anni, e cioè l’acquisizione di US Steel da parte di Nippon Steel, è diventata persino argomento di campagna elettorale: Kamala Harris, a settembre, ha dichiarato che US Steel sarebbe dovuta rimanere di proprietà degli americani e gestita da loro, facendo eco a un sentimento espresso all’inizio dell’anno sia da Joe Biden che da Donald Trump. E la decisione del governo americano è stata rinviata a… dopo le presidenziali!
Ed ecco che entra in gioco il lobbista, anzi, dovrebbe essere presente nella squadra che lavora sull’operazione sin dalle prime battute, per analizzare le motivazioni delle possibili resistenze dei governi, aiutare le aziende a preparare le rassicurazioni necessarie a superare queste resistenze, ma soprattutto consigliare l’azienda su come e quando presentare l’operazione ai governi interessati. Avere preparato con cura un dossier dal punto di vista del rispetto delle norme della concorrenza o degli aspetti occupazionali, in alcuni casi non è stato sufficiente… c’è sempre lo spauracchio dell’interesse nazionale dietro l’angolo.
A volte negare l’autorizzazione a determinate operazioni è legittimo, a volte può essere solo frutto di poca chiarezza da parte delle imprese.
Il lobbista può aiutare a prevenire e superare questi ostacoli, ma anche a valutare un’altra importante prospettiva politica. Da qualche anno si registra un conflitto all’interno dell’UE: da un lato c’è l’ambizione di creare uno scudo europeo che protegga dagli investimenti di imprese extra-UE, e che però garantisca le operazioni nel mercato interno; dall’altro, la tentazione degli Stati membri di difendere la nazionalità delle proprie imprese, mettendo sotto la lente anche le operazioni intra-UE. Per citare alcuni casi: le tensioni italo-francesi sul dossier Unieuro-Fnac, oppure il primo veto del governo italiano su Safran-Microtecnica. Come giudicare l’approccio diffidente della Germania sull’operazione Unicredit-Commerzbank? Spesso le frizioni tra Stati Membri alla fine trovano una soluzione, e ancor più spesso le trovano grazie al lavoro dei lobbisti. Ma questo non lo ammetterà mai nessuno…
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