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Galli della Loggia contro la scuola dell’inclusione (e contro Wittgenstein)

Insegnante, giornalista e scrittore
Dimmi che non sai nulla di scuola senza dirmelo: la specialità di Galli della Loggia
Dimmi che non sai nulla di scuola senza dirmelo: la specialità di Galli della Loggia

Non capirò mai perché Ernesto Galli della Loggia continui a disobbedire alla aurea massima del Tractatus logico-philosophicus di Ludwig Wittgenstein: „Wovon man nicht sprechen kann, darüber muss man schweigen“ che possiamo tradurre “Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere.”

Infatti Galli della Loggia da almeno quarant’anni scrive (solo ogni tanto, per nostra fortuna) di Scuola. Lo fa al modo della maledizione di Alex Drastico, il celebre personaggio di Antonio Albanese che, rivolgendosi all’anonimo ladro del suo motorino, gli augurava: “che tu possa farti sordo, muto, ma non per sempre, minchia! Che la voce ti venga sporadicamente e per pochi secondi nei quali tu spari delle cazzate immani…”

Mira, il Galli della Loggia, probabilmente a entrare nel guinness dei primati (chiedo scusa per l’involontario gioco di parole, per altro formidabile, dato il contesto), perché è davvero complicato scrivere per quarant’anni di un argomento – e pubblicare, in genere sul Corriere della Sera – senza avere la benché minima contezza di ciò di cui si tratta.

Galli della Loggia – lo dico come formatore di insegnanti universitari e di scuola, come pedagogista, come insegnante di ruolo abilitato in tre nazioni diverse – non deve aver mai letto nemmeno per sbaglio nulla di pedagogia, di storia della scuola, di formazione, di politiche scolastiche, di teorie dell’istruzione, di sistemi scolastici comparati. Ma non deve sapere un tubo nemmeno di disabilità, di diversità, di uguaglianza, di docimologia, di valutazione, di inclusione.

Come ho già avuto modo di dire anni fa, mi sono fatto l’idea che le uniche “conoscenze” che Galli della Loggia ha della scuola italiana e mondiale sono relative al tempo in cui lui, ormai quasi 60 anni fa, era studente di liceo. Poi basta. Il personaggio unisce questa sua crassa ignoranza a una sua naturale protervia condita da una superbia di tipo peculiare. Tutto ciò gli consente di credersi un intellettuale rinascimentale, di quelli che possono permettersi il lusso di aprire bocca su qualunque argomento, nella errata convinzione di avere sempre qualcosa di fondamentale da dire, mentre in genere è sempre qualcosa di inane ed esiziale.

Certo, se l’intento dell’editorialista del Corriere era quello di suscitare una reazione mediatica, allora bersaglio centrato. Non si contano infatti le reazioni incazzate, più che indignate, di educatori, insegnanti, medici e operatori della formazione. Si va dall’eleganza con cui il prof Edoardo Scarpanti, che insegna presso la Scuola Superiore ad Ordinamento Universitario di Mediazione Linguistica di Milano, sul suo FB, ha cominciato a snocciolare l’abc degli errori/orrori vergati dalla penna dell’accademico romano:

“(1) non esistono studenti “normali” e studenti “anormali”, a meno che non si senta la nostalgia di teorie pseudo-scientifiche molto popolari negli anni ’30 del secolo scorso in Germania (spero che non sia il suo caso…);
(2) la convivenza in aula fra ragazzi “normali” (?!) e ragazzi con disabilità, disturbi dell’apprendimento o bisogni educativi speciali è ovviamente un valore aggiunto, e non una disgrazia come dice lei, dato che, proprio grazie a quella convivenza, tutti quei ragazzi – un giorno – diventeranno adulti “pienamente umani” e non “meno umani” (spero, anche qui, che non sia il suo caso…);
(3) gli alunni di origine straniera, superata l’eventuale necessità di apprendimento della lingua veicolare (cioè, l’italiano), ottengono risultati pari a quelli degli alunni indigeni (cioè, italiani); quindi, considerare la loro presenza un problema è – per dirla chiara e tonda – un chiaro sintomo di razzismo da parte dell’indigeno (spero proprio che non sia il suo caso…).”
Il prof Scarpanti poi continua ricordando anche cosa dice la Costituzione riguardo al diritto all’inclusione, in articoli forse sfuggiti all’analisi di Galli della Loggia: il 2 e il 3.
Ancora, il prof. Francesco Saverio Ciampa, insegnante di sostegno da 40 anni, chiosa: “Prima di tutto le ‘menzogne’, come le chiama lei, non ci appartengono, noi della scuola pubblica facciamo tutto alla luce del sole, seconda cosa, la scelta di fare stare insieme tutti i nostri ragazzi è stata indiscutibilmente vincente ed innovativa! Ma lei davvero pensa che si debbano dividere o isolare bambini o ragazzi in base alla gravità delle loro patologie?”
Un giudizio più succinto è quello del preside dell’Istituto tecnico per il turismo “Marco Polo” di Firenze, Ludovico Arte, che, lapidario, commenta: “Leggere Galli Della Loggia aiuta a capire da che parte stare.” Infine, cito l’urlo di Vincenzo Falabella, Presidente nazionale della FISH, la Federazione italiana per il superamento dell’handicap, che scrive “Ernesto Galli della Loggia non ci siamo proprio! Hai una visione distorta della #storia del nostro paese e sopratutto della #disabilità!”
E tuttavia, se vogliamo davvero una società dell’inclusione, occorre accettare anche il grave disturbo dell’apprendimento di Ernesto Galli della Loggia, che non gli consente di comprendere come mai quel suo scritto esprime un vomitevole abilismo fascistoide. Lo storico romano forse non è al corrente del fatto che fra il 1900 e il 1977 furono istituite in alcune città italiane le “classi speciali per fanciulli deficienti”, e se Galli della Loggia le avesse frequentate, avrebbe imparato tanto. Classi che piacquero molto al regime fascista al punto che con il Regio Decreto 577 del 5 febbraio 1928 istituì le “classi differenziali”, un sistema di apartheid del tipo “separate and unequal”, che fu finalmente smantellato nel 1975 dalla relazione della commissione parlamentare guidata dalla senatrice democristiana Franca Falcucci, poi ministra dell’Istruzione pubblica. Fra le conclusioni di quella commissione si legge:
1) “Una struttura scolastica idonea ad affrontare il problema dei ragazzi handicappati […] non deve essere configurata in nessun modo come un nuovo tipo di scuola speciale o differenziale”;
2) la scuola deve “rapportare l’azione educativa alle potenzialità individuali di ogni allievo” e appare “la struttura più appropriata per far superare la condizione di emarginazione in cui altrimenti sarebbero condannati i bambini handicappati”;
3) il “criterio di valutazione dell’esito scolastico” deve “fare riferimento al grado di maturazione raggiunto dall’alunno sia globalmente sia a livello degli apprendimenti realizzati, superando il concetto rigido del voto o della pagella”;

Conclusioni che sono talmente note da trovarsi ormai anche nella relativa pagina di Wikipedia.

Quindi a Galli della Loggia non chiedo oggi di cominciare a farsi una cultura sulle migliaia di testi e articoli accademici pubblicati sulla scuola dell’inclusione, ma almeno di aprire la pagina di Wikipedia alla voce “Classi differenziali”. Magari anche la direzione del Corriere della Sera potrebbe chiedergli di fare questo immane sforzo, per il futuro, chissà.