Anche se il giornale che ospita i miei scritti non è mai stato molto tenero con il Procuratore della Repubblica di Catanzaro, io, pur non conoscendolo personalmente, ho ammirazione per il coraggio di Nicola Gratteri. Quel coraggio che solo alcuni veri uomini del Sud, da qualunque parte essi stiano, spesso sanno dimostrare. Consci che, come ricordava Paolo Borsellino parafrasando il Giulio Cesare di Shakespeare, “chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una sola volta”. È certo che Gratteri rischi ogni giorno la sua vita, assieme alla sua famiglia. E la vita blindata che ha scelto di vivere, peraltro da calabrese in Calabria, sarebbe per tanti una non vita. E merita solo perciò grande rispetto.
Non conosco però le carte dei suoi processi. E alcuni suoi critici, a cominciare da Pietro Sansonetti, che stimo per altra forma di coraggio, che molti giornalisti non hanno, di cantare da sempre fuori dal coro, soprattutto in materia di giustizia, gli addebitano una percentuale non a prova di critica di successi processuali alle sue attività investigative.
Per deformazione professionale, di quasi quattro decenni dedicati alla lotta alla criminalità, anche quella organizzata, soprattutto di tipo finanziario, e sul piano anche internazionale, è indubbio che nella battaglia tra chi rappresenta lo stato e la criminalità, sto sempre, in principio, dalla parte dello Stato.
Ma così come, crescendo in età, ho imparato che i buoni non erano sempre i visi pallidi ed i cattivi i pellerossa, come rappresentato nei film western della mia gioventù, avendo messo per anni le mani in molte carte investigative e processuali, ho imparato a non fermarmi mai alle apparenze. Soprattutto a quelle dei clamorosi annunci mediatici delle operazioni di polizia giudiziaria delle procure della Repubblica. Abituandomi ad esercitarmi alla pazienza della lunga attesa dei risultati processuali. Pazienza rafforzata nel tempo, per esperienza sul campo, assieme al rispetto della presunzione di innocenza. Che deve valere per tutti. Nella consapevolezza che il confondere i delinquenti, a cominciare dai mafiosi, con una serie infinita di presunti delinquenti poi giudicati completamente innocenti va solo a vantaggio dei tantissimi, e veri, delinquenti, mafiosi e ‘ndranghetisti che vivono impuniti nel nostro paese. Perché ho sempre pensato che urlare ”tutti sono corrotti, delinquenti, mafiosi” equivale a dire che “nessuno è corrotto, delinquente, mafioso”. Come penso che per la lotta alle mafie ci voglia la mano ferma e sapiente del chirurgo, capace di tagliare la parte malata, senza danneggiare quella sana. E non la foga dell’accetta del boscaiolo, incapace di provocare danni collaterali.
Questa premessa l’ho fatta per spiegare la ragione per la quale un paio di giorni fa, prima quindi di leggere sulla stampa di oggi della clamorosa operazione anti mafia della Procura di Catanzaro, un sesto senso mi ha fatto desistere dal diffondere tra i miei amici e lettori un messaggio ricevuto via Whatsapp da alcuni amici che, conoscendo il mio impegno di una vita per la legalità, mi hanno inviato con invito a ridiffonderlo.
Questo il messaggio, ricevuto tale e quale, da amici che rispetto per la loro buona fede:
“** MAXI PROCESSO **
Mentre tutta Italia parla da giorni di un autentico citrullo, inutile e dannoso per il paese, in Calabria, tra misure di sicurezza eccezionali e giornalisti da ogni parte del globo, è in corso il processo più imponente degli ultimi 30 anni.
**Quattrocento capi d’imputazione**
** più di 300 imputati **
** un esercito di avvocati **
** un plotone di giornalisti sbarcati a Lamezia da mezzo mondo**
Il maxi processo con numeri da capogiro, che vedrà alternarsi davanti alla Corte una sessantina tra pentiti e testimoni di giustizia, oltre a centinaia di testimoni tra accusa e difese in una corsa sfrenata che dovrebbe andare avanti ad un ritmo di cinque udienze settimanali.
«Quest’aula – ha detto Nicola Gratteri, procuratore capo di Catanzaro e coordinatore della maxi inchiesta che ha portato alla sbarra le più influenti cosche di ndrangheta del vibonese – è un simbolo di tecnologia e legalità: rispettosa delle norme anticovid con mille persone sedute a distanza di sicurezza ed ha la possibilità di fare 150 collegamenti video in diretta».
A dimostrare che in Calabria, se si vuole, tutto si può fare.
La cosa sconcertante che nessun Telegiornale, nessun giornale, nessun politico di ogni colore, abbia speso una sola parola di sostegno su questo straordinario uomo che da solo sta sfidando la ndrangheta.
Diamogli noi la visibilità che merita:
COPIAMO E INCOLLIAMO sui nostri profili
COPIAMO E INOLTRIAMO ai nostri contatti Whatsapp
#grandeNicolaGratteri #IOSTOCONGRATTERI #NicolaGratteri”
Tralasciando ogni commento sulla penosa situazione politica del Paese, che monopolizza le pagine dei giornali da giorni, ora che i riflettori sono nuovamente accesi sulla povera Calabria, concludo con un’ultima considerazione. Ogni tipo di mafia – a cominciare da quella calabrese, che è tra le più terribili – deve essere combattuta senza se e senza ma e senza guardare in faccia nessuno. Ma troppi spettacolari show mediatico-giudiziari degli ultimi decenni (poi finiti a processo nel nulla assoluto) invitano, soprattutto chi conosce bene dall’interno certe dinamiche, a prendere alcuni rumorosi annunci col beneficio d’inventario. Ma anche a chiedersi se persino i più grandi processi non dovrebbero svolgersi nel silenzio delle aule giudiziarie, lasciando i giudici tranquilli nel loro difficile compito di giudicare delle vite degli imputati, come di quelle delle parti civili. Senza metterli sotto una pressione mediatica che può per alcuni risultare insopportabile, e per altri ingiustamente pregiudizievole.
Se l’operazione di polizia giudiziaria presentata oggi all’opinione pubblica, e che ha già provocato le dimissioni di un leader politico nazionale, troverà successo anche processuale, oltre che mediatico, la Procura di Catanzaro meriterà l’assoluto plauso.
E non solo per l’operazione. Ma anche, e soprattutto, per essere riuscita a gestirla (sapendo perfettamente cosa ciò significhi in concreto) in concomitanza non solo con la crisi di governo (che non deve condizionare in alcun caso il corso della giustizia), ma anche con lo svolgimento del mega processo ad oltre 300 imputati. Immaginando che ragioni investigative non avrebbero mai permesso né di anticipare né di posticipare il pubblico annuncio di oggi.
Lo dico davvero senza polemica. Ma non senza il legittimo interrogativo che ogni addetto ai lavori dotato di un minimo di onestà intellettuale non può non porsi. Pur restando un romantico difensore della legalità e della Giustizia, con la G maiuscola. Che resta tuttavia molto distante da quella giustizia spettacolo cui siamo ormai abituati ad assistere nei tanti processi mediatici animati da troppi tribuni, pseudo giornalisti-investigativi. Ai quali le nostre coscienze sembrano essersi ormai assuefatte. A vantaggio esclusivo, non dimentichiamolo, dei veri – e non solo presunti – mafiosi e ‘ndranghetisti vari. Dei quali il nostro sfortunato Paese, nonostante i tanti colpi di accetta, continua da sempre ad abbondare.
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