Nella terza e quarta parte dell’intervista all’ex Presidente di Sezione e Giudice emerito del Tribunale dell’Unione Europea Guido Berardis (*) su magistratopoli e la confessione-intervista di Luca Palamara, vengono trattati i risvolti del “sistema” confessato da Palamara sull’Unione Europea. Ed in particolare sullo stato di diritto.
C’è chi sostiene che il Palamaragate debba interessare anche l’Unione Europea. Per quale motivo?
Perché si tratta purtroppo di una tragedia italiana. Ma che è anche una tragedia europea.
Per quale motivo?
Perché vilipende non soltanto la nostra Costituzione, ma anche quella che chiamerei la Costituzione europea (n.d.r.: i Trattati Ue). Perché entrambe vivono in una osmosi di principi e valori, che sono l’essenza della civiltà e della democrazia occidentale. Di questi principi e valori, la giustizia è uno dei pilastri ineludibili.
L’Italia è una componente essenziale dell’Unione europea, uno dei sei paesi fondatori e realtà economica di primo piano. Se una parte del corpo si ammala, tutto il corpo ne soffre. E se la malattia non viene curata, il corpo può subirne conseguenze fatali.
Come e perché “il sistema” può influenzare negativamente la realtà dell’Unione Europea?
Perché un discorso sulla Giustizia in ambito europeo dovrebbe esser fatto in un contesto molto ampio e partendo da molto lontano.
Cercando di semplificare al massimo, si può dire che la Giustizia, in ogni manifestazione della vita associata, è un elemento imprescindibile per la sua sopravvivenza, e l’Unione non fa eccezione. Anzi, a motivo della sua realtà molto variegata, ne costituisce la linfa vitale, che, se non arriva fin nelle sue estremità, fa appassire parti sempre più importanti dell’albero.
Ed è stata la preoccupazione dei padri fondatori delle Comunità europee, come dei costituenti.
Esatto, perché i padri fondatori, come i nostri costituenti, avevano ben compreso l’importanza fondamentale della giustizia nella nascente Comunità ed hanno previsto un sistema giurisdizionale, che ha fatto le sue prove nel corso dei decenni e ne è divenuto il fiore all’occhiello.
Ma essi avevano bene in mente che quel solo sistema a livello istituzionale non sarebbe stato sufficiente per garantire una giustizia a livello nazionale per ogni cittadino in tutti gli Stati membri. É per questo che fu creato un primo strumento che si è rivelato di un’immensa importanza nello sviluppo del diritto comunitario, il famoso ricorso pregiudiziale. Ciò che interessa il cittadino è che ogni norma, primaria o secondaria, dell’Unione venga applicata in maniera chiara ed uniforme su tutto il territorio di essa, da quelli che sono i primi giudici di diritto comunitario, i giudici nazionali.
E come sono riusciti in questa impresa che poteva apparire molto ardua?
Per ottenere questo risultato, occorreva intervenire, ove necessario, anche sulle regole sostanziali e processuali del diritto nazionale. Appena dieci anni dopo l’entrata in vigore del trattato, la Convenzione di Bruxelles (divenuta oggi un regolamento) fissava i criteri per la competenza giurisdizionale e il riconoscimento delle decisioni in materia civile e commerciale. Si erano subito visti gli ostacoli per la circolazione di persone, beni e servizi, derivanti da norme troppo diverse di competenza et exequatur.
Fu il primo passo di un cammino lungo e tenace, su un doppio binario, quello dei principi e quello del diritto positivo.
Sì, perché con Maastricht e Amsterdam si concepì quello «spazio di libertà, di giustizia e di sicurezza», progressivamente comunitarizzato, per far fronte alle crescenti difficoltà derivanti da una sempre maggiore circolazione all’interno dell’Unione. Giustizia civile e penale entrano a far parte della competenza propositiva della Commissione, chiamata ad agire laddove le eccessive divergenze si trasformano in ostacoli inaccettabili all’integrazione.
È uno sviluppo quasi sorprendente. Di quello che classicamente va sotto il nome di diritto internazionale privato. E, sul versante penale, una sempre migliore cooperazione di polizia e giudiziaria quando si passa dal fisiologico al patologico.
Con una rapida ascesa di principi, anche filosofici, se vogliamo.
Esatto, perché l’attuale articolo 2 del Trattato indica i fondamenti dell’Unione: dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto, rispetto dei diritti umani.
L’articolo 6 riconosce alla Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea (mutuata dalla famosa analoga Convenzione nel quadro delle Nazioni Unite) lo stesso valore giuridico dei Trattati.
E la Carta è un inno alla dignità, alla libertà, all’uguaglianza, alla solidarietà e alla giustizia.
Perché l’Unione viene spesso definita uno stato di diritto, e la giustizia non è soltanto un fattore indispensabile di integrazione ma un vero diritto fondamentale?
Perché il Titolo VI della Carta indica con estrema chiarezza i contenuti di tale diritto fondamentale : diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un giudice; diritto per ogni persona a che la sua causa sia esaminata equamente , pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente ed imparziale, precostituito per legge; facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare; presunzione di innocenza fino a condanna definitiva; principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene.
Possiamo dire che, in questo affresco della Giustizia nella realtà inscindibile dell’Unione e di ogni singolo Stato membro, si capisce l’importanza di essa, non solo come strumento di integrazione, ma, anche e soprattutto come termometro della democrazia.
Ma la giustizia, resta pur sempre nelle mani degli Stati membri.
I principi e le regole devono essere applicati dai giudici nazionali, sono loro i primi giudici di quel vero e proprio «diritto integrato» costituito dal diritto dell’Unione e da ogni singolo diritto nazionale.
Se questi principi e queste regole non vengono sentiti come un patrimonio comune dei cittadini europei, la democrazia soffre. Se non vengono rispettati da chi è chiamato a farlo, i giudici, la democrazia è moribonda.
Ci troviamo quindi al capezzale di una democrazia moribonda?
Nel nostro paese stiamo assistendo, e non da ora, ad attentati alla democrazia, via lo scempio di cui è vittima la giustizia. Non possiamo più tollerarlo. Non solo per quei valori che sono alla base della nostra identità nazionale, ma anche per quelli, gli stessi, su cui si fonda quell’Unione alla quale siamo indissolubilmente ancorati.
Mi auguro, anzi, sono certo, che esistano ancora, nel nostro paese, forze capaci di opporsi ad un fenomeno distruttivo della nostra democrazia.
(3. continua)
(*) Guido Berardis, già Direttore alla Direzione Generale del Mercato Interno presso la Commissione Europea, ma anche membro del gabinetto dell’allora commissario europeo alla Concorrenza Mario Monti, è stato sino al 2019 Presidente di Sezione del Tribunale dell’Unione Europea. Uno dei maggiori esperti italiani di diritto dell’Unione Europea, oggi in pensione, nel suo percorso professionale conta anche un’esperienza quale ufficiale di complemento della Guardia di Finanza, ed oggi è Consigliere della Sezione di Bruxelles-Unione Europea dell’ANFI (l’Associazione Nazionale Finanzieri d’Italia).
La prima e la seconda parte dell’intervista sono state pubblicate sul Riformista il 16 ed il 17 febbraio 2021
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