Ci sono situazioni in cui se non fai, probabilmente per fare melina, ti va anche bene; ma se appena ti muovi distruggi un’intera cristalleria bè allora iniziano i guai.
Ecco, sul Pnrr sta avvenendo la stessa cosa con il governo Meloni che sì incassa il quibus (i soldi) ma non sa che farsene di quei soldi. Sembra una barzelletta eppure stiamo lì: passi pure l’assioma strombazzato per cui “parte” dei fondi potevano e dovevano essere dirottati per implementare un comparto piuttosto che un altro tuttavia manca per l’appunto la res cioè cosa fare, dove andare. A sentire il ministro Fitto – che ricordo sta nell’esecutivo con delega ad hoc – a molti è sembrato sentire le incertezze e inquietudini di Marsilio Ficino in una lettera a Giovanni Cavalcanti
“di questi tempi, in un certo senso, non so che cosa voglio; forse non voglio quel che so e voglio quel che non so”.
La sua informativa, ieri, nell’aula del Senato era costruita con un eloquio incerto, pieno di subordinate e frasi incidentali approssimate, come una macchina che si addentra in un banco di nebbia fitta, fittissima. E che ignorava perfino le perplessità emerse da un dossier recentissimo a cura del servizio studi della Camera dalla cui lettura si capisce che il governo non dice chiaramente le “specificazioni” sulle modalità di ri-declinazione dei fondi. Un ulteriore elemento da considerare è il ruolo fondamentale delle riforme, strettamente legato alle scelte di spesa delineate nel Pnrr, gran parte delle quali concentrate sulla governance di processi chiave come appalti, ricorsi, reclutamento delle competenze e implementazione generale.
Questo è un fatto politico di particolare importanza poiché ( al netto dei temi distrattori innescati qua e là per confondere il dibattito) sul Pnrr nello specifico si prospettano, alla luce dello stato confusionale in atto, due scenari per certi versi opposti tra loro ma degni, a mio avviso, di una riflessione. Parafrasando un testo della letteratura antica – la Didachè – ci sono due vie: quella dell’esclusività per la quale l’esecutivo dimostra di avere una sua visione, un concerto di idee e di gestione a medio lungo termine su cui scommettere la sua abilità a governare processi e risultati. Oppure prendere la coraggiosa via dell’inclusività ammettendo di non farcela da solo, fare un passo di lato per far posto alle istanze dell’opposizione che giustamente chiama l’esecutivo ad una sfida di cooperazione e di negoziazione che parte anzitutto dal Pnrr e potrebbe allargarsi a riformismi più ampi
Si dirà che quest’approccio sarebbe la fine del centrodestra di governo ma non è così nel breve periodo. Invece l’approccio inclusivo produrrebbe alcuni effetti significativi ovvero da una parte potrebbe essere il requiem del sovranismo italico e dall’altra l’inizio – in nome del Pnrr – di una fase di pacificazione e di ricostruzione del sistema paese.
I termini ripresa e la resilienza che sostanziano il piano significano , se ci pensate, l’anticorpo contro un male remoto del nostro paese quale è l’iper ideologizzazione della mission politica che guarda al dito e non alla luna. In un contesto asfissiato dalla polarizzazione sembra lunare parlare di concertazione eppure siamo davanti ad una sfida sociale ed economica che in se stessa non è riconducibile ad un polo dello spettro politico. Contrastare la cieca ideologizzazione non significa azzerare le differenze ma farle convergere – quando serve – verso riforme condivise, costringere gli estremi a fare sintesi delle loro mirabolanti istanze. Basti pensare a questa semplice considerazione: se qualcuno mi trova un colore politico spiccato nel fare asili nido, migliorare le reti ferroviarie locali e costruirne di nuove ad alta velocità, colmare il digital divide tra centri e periferia o azzerare le liste di attesa negli ospedali; ecco se queste cose sono ad appannaggio di un partito o dell’avversario bene è pregato di farmelo sapere. La verità è che gli obiettivi del Pnrr non sono né di sinistra né tantomeno di destra, lo sanno persino gli stessi protagonisti dell’attuale scenario politico. Forse l’unica – ostinata – a non averlo capirlo (ieri come oggi) sembra essere proprio la premier.
E’ il caso di chiosare così: aiutiamola in casa sua.
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