Il piccolo bigino delle idee per Milano, ovvero un piccolo vademecum per “tirare avanti”, come si dice qui. Non ce l’abbiamo fatta ad evitare il confinamento, non ci abbiamo creduto abbastanza. Nonostante seri istituti di ricerca, come il Centro Einaudi, oppure Ispi, abbiano pubblicato degli studi molto credibili, analizzando misure alternative altrettanto, se non maggiormente, efficaci.
E allora becchiamoci, perlomeno qui in Lombardia, questo ennesimo cartellino rosso, con la speranza di riuscire a fare un po’ meglio, prima che tutto crolli.
Nel presente bigino, cerco di compendiare alcuni spunti percorsi in precedenza, riducendoli all’osso: chissà che qualche istituzione sia all’ascolto.
Il tentativo, senza troppe pretese, è quello di rivolgerci al mondo della piccola imprenditoria, che più sta soffrendo il momento storico, cercando di uscire dalla fragile logica dell’aiuto di Stato. La nostra piccola esperienza suggerisce che il sussidio (o “ristoro”, come oggi è di moda pronunciare) sia, per coloro che lavorano in proprio, un semplice palliativo, se non l’anticamera di una quasi certa chiusura.
Ben diverso è aiutare l’imprenditore a rimanere sul mercato. Specie in condizioni estreme, come quelle che ci ha riservato il 2020.
Facciamo il punto: a Milano, ed in tutte le grandi città, assistiamo tragicamente ad una quotidiana moria di negozi. Nonostante gli appelli al cosiddetto “commercio di prossimità”. Contemporaneamente, le vendite on line raggiungono performance mai viste.
In attesa di una legislazione europea maggiormente equa, cosa si potrebbe fare, a partire da subito, per compensare tale svantaggio?
Si potrebbe pensare, ad esempio, di istituire un prestito a fondo perduto (la cifra potrebbe essere di 5 o 10k euro) a tutti i negozi che vogliano affiancare, alla propria attività tradizionale, così penalizzata, un portale per le vendite on-line. Si creerebbe, così, un circolo virtuoso, con effetti benefici anche successivi all’emergenza Covid.
E non solo: molto spesso, i negozi che “saltano” sono attività che, anche precedentemente, arrancavano. Perché non al passo con i tempi. Anche in questo caso, le istituzioni potrebbero intervenire offrendo prestiti a fondo perduto o parziale, laddove l’imprenditore decida di effettuare un restyling del proprio negozio. Magari approfittando del periodo di chiusura.
Vorrei aggiungere qualcosa anche per il blocco affitti: attualmente, si tratta di un credito d’imposta. Questo significa che, in ogni caso, l’imprenditore deve “tirare fuori i soldi”. Perché non pensare di detassare/defiscalizzare il locatore, a fronte di un blocco o riduzione d’affitto? Sarebbe senz’altro più efficace.
Infine, mi piacerebbe riprendere il tema dello smartworking. O meglio: del co-working. Posto che si dovrà raggiungere un compromesso tra il lavorare in azienda, con tutti i rischi annessi, ed il lavorare a casa, con tutti gli svantaggi (in primis la socialità, locali non idonei, connessioni ed attrezzature non idonee, spazi non funzionali, ecc.), la soluzione corretta potrebbe essere quella di incentivare in tutti i modi gli spazi di coworking.
Il lavoratore che dovesse usufruire di uno spazio di lavoro condiviso, in sicurezza, e magari sotto casa, non intaserebbe i trasporti per raggiungere l’ufficio e senza rinunciare a socialità, prestazioni, confort.
Le aziende dovrebbero iniziare ad erogare buoni coworking allo stesso modo in cui erogano i ticket restaurant. Benefit defiscalizzati. Contemporaneamente, andrebbero premiate ed incentivate le realtà imprenditoriali che decidono di adattare a coworking i propri spazi o investire ex-novo in questa attività.
A Milano, per esempio, ci sono tantissimi alloggi airbnb vuoti, oltre ai tantissimi uffici rimasti deserti (probabilmente, nel 2021 molte aziende rivedranno i propri contratti d’affitto). Ebbene, anche gli airbnb possono trasformarsi in luoghi idonei al lavoro condiviso. In altre nazioni già avviene.
Per non parlare, infine, degli hotel, oggi quasi tutti chiusi: anch’essi, a fronte di incentivi, potrebbero rivedere la propria funzione, diventando spazi di lavoro (vivendo dunque più il giorno che la notte). Anche questo già avviene, ad esempio negli Stati Uniti.
Il succo di questo “bigino” è insomma quello di partire per una volta dal mondo privato, stimolandolo grazie agli incentivi pubblici. Che è molto diverso dalla filosofia attuale: ti chiudo, in cambio di un ristoro, vero o presunto, che a poco serve.
Dato che è il mondo della piccola e micro-impresa a pagare i prezzi maggiori della crisi, è doveroso partire da qui, cercando di costruire percorsi virtuosi, in attesa di tempi migliori.
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