Ieri mattina Azione e Italia Viva hanno presentato, al Senato, il programma del polo draghiano ai giornalisti. Siccome siamo a metà agosto, mi pare giusto alleggerire e proporvi un post da sotto l’ombrellone. Faccio dunque il mio lavoro da insegnante dalla penna rossa e da comunicatore politico e valuto per voi la presentazione del programma dei riformisti draghiani di #ItaliaSulSerio.
Cominciamo con una nota positiva: molto bella la premessa di pagina 1 del programma. Invito tutti a leggerla. L’avrei giusto messa graficamente in modo più accattivante. Il programma è discreto, migliore di altri, ma non perfetto, e ci torneremo. Qui analizzo solo la presentazione orale dei politici.
Anzitutto: presentazione troppo lunga. Un’ora e 37 minuti per presentare il programma ai giornalisti è troppo, si rischiano calate di palpebra e collassi, specie se d’agosto. Prossima volta restare in massimo 30-40 minuti e poi dare la parola ai giornalisti. Si possono aggiungere dati nelle risposte. Ogni e qualunque presentazione orale che supera i 30 minuti, è dimostrato scientificamente, ha una percentuale di ritenenza nell’auditorio drammaticamente bassa. Inoltre, fossi stato in Calenda & company, avrei presentato il programma corredandolo da delle slide semplici e graficamente valide, scritte il meno possibile, anche per sottolineare i punti maggiori.
#Calenda: verboso, parla 33 minuti filati. E’ troppo nel ruolo di frontman, appare, come dice un mio caro amico, come “una monade politica, un essere parmenideo che nella sua perfezione ha ragione su tutto”. Comincerei a suggerirgli di curare meglio la retorica, la prossemica, la lingua e la grammatica italiana, se vuole parlare così tanto. Se si riferisce a Emma Bonino, il pronome giusto per lei, che è donna, è “le”, non “gli”. Se intende dire che una cosa è “tra parentesi” è sbagliato dire che è “tra virgolette”. Introduce la ministra Elena Bonetti annunciando “Ministro Bonetti!” e poi si scusa. Poi annuncia le ministre Carfagna e Boschi scandendo “Mara!” o “Maria Elena!” come fossero sue cugine. Ogni tanto vira sulla cadenza romana: può piacere entro il GRA, non tanto fuori, pochissimo poi al Nord. Alterna momenti retorici bassi (“come diceva quello”: chi? e perché ti paragoni a Bush Senior quando disse nel 1988 “read my lips” visto che poi – in modo famoso – non mantenne la promessa fatta?) a momenti alti, come fosse una chiacchiera fra amici, e se è una tecnica, può anche funzionare con alcuni. Il problema è che non sembra affatto una tecnica voluta.
#Bonetti: emozionata (un refuso grammaticale anche per lei, ma subito corretto) ma la più sul pezzo e in palla di tutti. Illustra ciò che ha fatto come ministra della Famiglia nel governo Draghi, ha un registro analitico, preciso, affilato. Frasi chiare, molte cifre corrette e precise alla virgola. Sottolinea il ruolo dell'”energia del femminile e del linguaggio del femminile” al governo del Paese, e crea lo slogan più efficace della mattinata. Davvero efficace. E ha parlato un tempo giusto: 10 minuti.
#Carfagna: generica, punta sulla comunicazione emotiva più che sulla precisione dei dati e si avventura nell’accennare dati economici su cui risulta troppo vaga. Scandisce bene, guarda negli occhi alcuni dei suoi interlocutori. Sa comunicare in modo emotivo, ma non è analitica. Sottolinea il fatto che al tavolo siedono parlamentari che hanno realizzato riforme importanti, più che promettere la luna, e attacca lo slogan della Destra “risollevare l’Italia”, rivendicando il buon operato del governo Draghi. Parla 10 minuti.
#Gelmini: efficace e asciutta (prende 7 minuti appena) sulle riforme istituzionali che si vorrebbe realizzare. Il suo maggior problema è che tutti ricordiamo l’atroce riforma della scuola fatta sotto il governo Berlusconi (a cui il governo Renzi mise una pezza, ridando alla Scuola quegli 8 miliardi tagliati da Gelmini, e aggiungendo qualcosa in più; ma non restituì le ore di Storia tagliate dai licei, purtroppo). Ma si sa presentare in modo corretto. Sta nel suo, non deborda, anche lei sul pezzo, alquanto precisa e analitica.
#Marattin: quasi perfetto, nei suoi 11 minuti. Puntuale, preciso, analitico. Snocciola dati di riforma del sistema fiscale come fossero il suo secondo nome. Non eccede in avverbi né in aggettivi, va dritto al punto. Stigmatizza il fatto che spesso i politici “raccontano storie” senza badare ai fatti, e di fatti e numeri parla. Fa delle giuste pause. Potrebbe migliorare preparandosi una scaletta del suo intervento per grandi temi, che invece cuce insieme verso la fine del suo discorso, facendosi prendere dal desiderio di far vedere quante altre cose avrebbe potuto aggiungere. E infatti poi le accenna. Questo è l’effetto da primo della classe, che può risultare antipatico. Non a me, ma ad altri sì. Invita i giornalisti a leggere la prima pagina del programma, la premessa, e mette a segno il suo messaggio.
#Boschi spetta a lei chiudere una serie di interventi e non è mai una posizione di vantaggio. Inizia rendendo omaggio alla scomparsa precoce dell’ex collega parlamentare e avvocato di Berlusconi, Niccolò Ghedini, ed è un tocco di classe e di educazione che le guadagna l’applauso di molti. Poi va dritta al punto: “Il giustizialismo è un’aberrazione” e va a esporre il programma sulla Giustizia. Annuncia le riforme senza fronzoli, senza enfatizzare troppo. Parla 12 minuti ma dice molto. Bene.
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