In tempi in cui tutti hanno bisogno di divisioni nette (noi – loro, uomini – donne, trans – gay – lesbiche), arriva una boxer che spiazza tutti, Imane Khelif, sessualmente donna ma con picchi (e a quanto pare down) di testosterone che lasciano indurre che abbia, o abbia avuto, dei vantaggi nello sviluppo fisico rispetto ad una donna ordinariamente priva. E si dica “ordinariamente” e non “normalmente”, perché Imane Khelif è normalissima e non è un extraterrestre: è una donna con una peculiare oscillazione dei valori ormonali.
Fin qui nulla di strano in un mondo dove si è sentito questo e altro e nella misura sua personale che certo a nessuno spetta indagare. Vi è però che Imane Khelif di professione giochi a boxe dove i livelli di testosterone che incidono sulla forza fisica (financo addirittura il peso) non siano certo un dettaglio. Non a caso i giochi Olimpici si sono muniti di un regolamento per dettagliare l’ammissione alle gare e, circa la specificità sollevata di fatto da questa pugile, hanno stabilito un parametro massimo di testosterone che, probabilmente, è prassi ricorrente anche per tenere d’occhio le eventuali derive del doping.
Il punto è che, seppur nel lecito (mentre il doping è chiaramente un illecito che avrebbe escluso da quella categoria una giocatrice che anche precedentemente alle gare avesse avuto alti livelli di testosterone), ci si è trovati innanzi ad una casistica nuova che non tange la morale e né è una truffa (come nel doping) ma che, di fatto, pare potenzialmente migliorativa dello sviluppo storico-fisico della giocatrice.
Come da regolamento, però, la pugile è stata indagata solo in prossimità della competizione sulla base, evidentemente, di un limite “di tolleranza”, circoscritto al pre gara appunto, dei valori ormonali atto non certo a definirla “uomo o donna o trans” ma a scoraggiare ingiusti vantaggi. Ecco dunque spiegato perché Imane Khelif, che pare abbia da DNA un cromosoma maschile, a volte sia stata ammessa alle gare ed altre no perché è stata all’uopo esaminata “pre gara” ma mai non nell’impatto generale di tale specificità.
Srotolata così la matassa, è chiaro che il dito debba puntarsi sul regolamento che tutti i partecipanti alle Olimpiadi accettano per parteciparvi e questo è già un primo passo nella collettiva riflessione perché invece, gogna mediatica, si è concentrata sulla povera Imane Khelif che non ha responsabilità né ha cavalcato furberie. Ha anzi la pretesa di essere rispettata tanto lei quanto i suoi risultati sportivi.
Il secondo è che la boxer Angela Carini è apparsa molto suggestionata dalla pressione che già circolava su questo match (tant’è che dopo il primo gancio, dopo solo 46 secondi, ha rinunciato alla gara sostenendo “fa malissimo”) a dimostrazione che la gogna non ha fatto bene né all’Algerina e né alla psicologia dell’Italiana che pareva già indotta alla resa (mentre in uno sport di combattimento avrebbe dovuto arrivare sul ring carica e con la voglia di spaccare fino all’ultima goccia di sudore).
Il terzo e ultimo passo è una riflessione sui “diritti delle donne violati” paventata da molti. Non scherziamo: anche Imane è una donna e fino a prova contraria è stata rispettosa delle regole. Se davvero c’è un sincero interessamento sui diritti delle donne, che sia convogliato su quelli che, nell’indifferenza generale, vengono realmente violati (nel mondo del lavoro, nel disvalore sociale, nella disparità salariale, nella poca credibilità garantita in caso di denuncia, nel rispetto domestico, nelle battute sessiste, etc) e lasciamo che ognuno faccia il suo mestiere: sul regolamento delle Olimpiadi ci sono e saranno sicuramente mani esperte (e singole delegazioni nazionali divise sport per sport) per poter rivalutare il caso Imane e, se del caso, confermandolo (ribadendo l’assunto dell’assenza di vantaggi) o rivedendolo. Ma non a favore dell’Italiana, ma a favore dello sport.
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