Come previsto, al referendum costituzionale ha trionfato il SI. Ma io, per le ragioni spiegate il 15 settembre (Perché, nonostante i tanti grilli travaglianti a favore del si, #iovotono convintamente), resto fiero di aver votato NO, con convinzione. Perché non mi sentirò responsabile di aver contribuito, col mio voto, a ciò che ne deriverà per la democrazia nel nostro Paese.
Ora, preso atto della volontà popolare, che va comunque e sempre rispettata, non resta che da augurarsi che tutti i partiti – che per azioni o omissioni, motivate unicamente dai loro interessi elettorali di bottega a brevissimo termine, hanno contribuito a questo risultato – proveranno almeno a limitare i danni certi che deriveranno da questo attentato alla democrazia nel nostro paese. In primis, quello di aver fatto finire il parlamento italiano all’ultimo posto in Europa per rapporto tra eletti ed elettori. Seguito poi dal danno subito dai cittadini residenti in molte piccole regioni (come ad esempio il Friuli Venezia Giulia), che perderanno fino alla metà dei loro rappresentanti. Immediatamente dopo, quello subito dagli oltre 5,5 milioni di italiani residenti all’estero, che passeranno da 6 a 4 senatori e da 12 ad 8 deputati a rappresentarli. Molti meno, ad esempio, di Regioni che hanno poco più di 1,5 milioni di residenti.
Oltre a questi due danni, cui sono personalmente molto sensibile, non solo per essere cresciuto in Friuli-Venezia Giulia, ma anche perché da quasi trent’anni sono residente all’estero, pur continuando a pagare buona parte delle mie imposte in Italia, vi sono quelli di dare ancora più potere alle segreterie dei partiti, specie nella scelta delle candidature, e nell’elezione dello stesso Presidente della Repubblica, e che le lobbies (di qualunque tipo) avranno meno persone da convincere per sostenere e difendere i loro interessi.
Va ora messa da parte ogni polemica a posteriori. Perché non avrebbe più senso e bisogna invece concentrarsi sul futuro. Nella consapevolezza che, come diceva Churchill, “la democrazia é la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle forme che si sono sperimentate fino ad ora”. Prima di farlo però, ed archiviare la mia convinta opera di sensibilizzazione di amici e lettori sulle mie ragioni del NO, ho dovuto però ricordare ad un giornalista che ha risposto ad un mio post su FB scrivendomi, seppure in privato, “se non ti consideri tra i tanti italiani che hanno vinto accontentati di stare con i pochi che hanno perso”, che io non “mi accontento” di essere con “i pochi” che secondo lui “hanno perso”: ne sono assolutamente fiero. Non solo perché non mi sentirò complice delle conseguenze, ma anche perché, come ricordava Bertrand Russell, “Il fatto che un’opinione sia ampiamente condivisa non è affatto una prova che non sia completamente assurda. Infatti, a causa della stupidità della maggioranza degli uomini, è molto più probabile che un giudizio diffuso sia sciocco piuttosto che ragionevole.”
Quindi lascio i festeggiamenti da stadio all’autore di quel commento, assieme a tutti coloro che (partiti politici in primis) hanno l’abitudine italica di aggrapparsi al carro dei vincitori e di presentarsi come interpreti della volontà popolare. Che in questo caso era solo quella di manifestare la giustificata e sacrosanta sfiducia nella classe politica italiana, e della volontà di darle un sonoro schiaffo. Senza comprenderne però l’effetto boomerang per i cittadini e la loro rappresentanza democratica che ho cercato vanamente di spiegare. Mi schiero quindi con orgoglio con “i pochi” (di tutti gli schieramenti politici, e quelli, come me, senza etichette partitiche) che sanno e ammettono di avere perso. Perché consapevoli che ad avere perso, nella cruda realtà dei fatti, sono tutti i cittadini. Il cui bene era l’unica cosa che mi interessava davvero in questa battaglia elettorale referendaria fatta di poca informazione e molta demagogia.
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