I tempi delle restrizioni non sono terminati con il 2021, come da nostro comune auspicio: sembrano addirittura farsi più severi. In questo clima di totale incertezza, tuttavia, c’è chi davvero non riesce più ad andare avanti. Pensiamo alla Lombardia: terminato in qualche modo il periodo natalizio, da pochi giorni si stava avvicinando ai tradizionali saldi. Talvolta, con extra sconti del 70-80%, dati gli stock accumulati nei mesi, dovuti alla totale imprevedibilità delle decisioni governative. Ebbene, la Lombardia torna inaspettatamente rossa, creando un forte disagio a tantissimi imprenditori economici.
Per questa ragione, abbiamo deciso di fare una lunga chiacchierata (la chiamerei così, più che intervista) con Marco Barbieri, segretario generale di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza.
Abbiamo innanzitutto chiesto a Barbieri che cosa ne pensasse dell’Italia “cromatica” suddivisa in zone e delle conseguenti restrizioni.
Ad oggi, premette il segretario, non risultano evidenze di focolai con epicentro all’interno di ristoranti, bar, negozi, esercizi commerciali.
Detto questo, come è noto, l’Italia, in questi lunghi mesi, si è dotata di protocolli e regole per consentire le aperture in sicurezza. Dunque, si chiede Barbieri, questi protocolli servono o non servono? Perché, se servono, non si capisce, perché non siano consentite determinate riaperture.
Il vero problema, secondo Barbieri, non è tanto relativo alla efficacia dei protocolli, ma al rispetto delle regole, e alla capacità di farle rispettare, organizzando rigorosi controlli.
Controlli che, attenzione, non devono essere a carico degli operatori commerciali: l’imprenditore è responsabile dei comportamenti all’interno del suo locale, ma al di fuori che cosa può fare?
Gli imprenditori, nel breve periodo in cui hanno potuto tenere aperto, sono stati solerti a “sbattere letteralmente fuori le persone” prima del coprifuoco. Dopodiché, se le stesse persone continuavano ad assembrarsi all’esterno, la colpa non è dell’esercente, ma delle istituzioni che non hanno fatto rispettare le regole, disponendo i doverosi controlli.
A proposito di regole, nasce spontanea l’esigenza di parlare del divieto d’asporto dopo le 18: anche in questo caso, Barbieri sottolinea l’incoerenza del provvedimento. Pensiamo, ci racconta, ai ragazzi che, non potendo più acquistare al bar, si recheranno a qualsiasi punto della grande distribuzione, per fare “rifornimenti” e poi assembrarsi nei luoghi naturali di aggregazione, come le Colonne di San Lorenzo.
Il punto non è, dunque, chiudere gli esercizi commerciali, ma far rispettare le regole.
Regole che, tuttavia, nella nostra Italia a colori, non sono così chiare: Confcommercio ha più volte tentato di sviscerare, insieme alle istituzioni, i famosi 21 criteri che determinano inferno o purgatorio. Ma i criteri rimangono, per lo più, fumosi e misteriosi. Inoltre, sottolinea Barbieri, il Governo continua a prendere delle decisioni come se gli imprenditori avessero un pulsante: on – off, acceso – spento. Comunicando i provvedimenti, molto spesso, poche ore prima della loro applicazione, anche durante la notte.
Si tratta di un gravissimo errore organizzativo: non solo gli imprenditori non hanno l’interruttore, ma – pensiamo a settori delicati come la somministrazione – c’è bisogno di poter programmare le riaperture con largo anticipo. E questo ragionamento, ci spiega, non vale solo per le cosiddette merci “deperibili”: i negozi di abbigliamento si trovano con i magazzini strapieni. Si tratta di merce non deperibile, ma, come è noto, se passa il momento, rimarrà invenduta.
Ancora una volta, ci ricorda con forza il segretario, ci vuole certezza e coerenza delle regole, oltre alla programmazione dei tempi. Si pensi al provvedimento per il quale, nei giorni pre-festivi e festivi, i centri commerciali rimangono chiusi. Ebbene, tipicamente, l’effetto pratico è stato quello di vedere i centri delle nostre città invasi per gli acquisti di Natale. Con il sistema di trasporto pubblico non in grado di gestire i flussi. Tutto questo nonostante (e lo possiamo osservare tutti noi facendo la spesa) i grandi centri commerciali abbiano maggiori possibilità organizzative rispetto ai piccoli negozi: ecco uno dei tanti esempi di “fumosità” che contraddistingue il periodo.
Tento, a questo punto dell’intervista, di fare una piccola polemica con il mio interlocutore: se gli esercenti sono così vessati da regole fumose e incerte, controlli inefficaci, oltre a tutto quanto già apprendiamo a mezzo stampa sui ritardi nei ristori e nelle casse integrazioni, perché non appoggiarli nella recente iniziativa “Io Apro”, organizzata da ristoratori disobbedienti?
Barbieri, su questo, taglia corto: il fatto che a Milano abbiano aderito soltanto 16 ristoranti su oltre 9000 la dice già lunga. Le battaglie non si fanno fuori dalla legge, ma confrontandosi costantemente nelle corrette sedi istituzionali.
Non contento, faccio presente che su svariati gruppi informali di ristoratori circola il commento per cui le organizzazioni di categoria sarebbero scarsamente rappresentative. Ed è qui che l’intervista si fa più interessante, perché il segretario ci palesa alcune proposte di Confcommercio.
La prima riguarda direttamente gli indennizzi: basta con le partite di giro, ci dice Barbieri. Perché i comuni continuano a chiedere agli esercenti tributi come la TARI o l’occupazione suolo pubblico, per poi andarli a restituire mediante ristori? Che i comuni e gli enti locali si facciano ristorare direttamente dallo stato, evitando di chiedere soldi agli imprenditori che, in questo momento, sono in crisi di liquidità.
Chiudiamo l’intervista con la seconda proposta, a tema affitti. Anche in questo caso, Barbieri contesta il meccanismo della partita di giro, che, nella locazione, si instaura con il credito di imposta. Confcommercio parte dalla stessa logica di prima: perché far pagare l’affitto agli esercenti, per poi (parzialmente) restituirlo, rischiando però che l’imprenditore non abbia davvero a disposizione quei soldi?
Il presupposto è che, di solito, nelle grandi città, i proprietari degli immobili commerciali sono fondi e grandi investitori, mentre nelle aree metropolitane i proprietari sono spesso gli esercenti stessi.
Costituendo, dunque, un fondo di perequazione, i locatori dei centri urbani potrebbero applicare riduzioni sui canoni del 20-30%, perché sanate direttamente dal fondo.
Molta, moltissima carne al fuoco in questa intervista: ringraziamo Marco Barbieri per la sua disponibilità, augurandoci che i punti discussi non rimangano lettera morta e che, prima o poi, qualcuno si accorga che c’è un Paese messo a dura prova, non solo dal virus, ma dall’incertezza governativa.
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