Dal 2016 esiste un Regolamento dell’Unione Europea che enuncia un principio: quello di “non respingimento”.
Si tratta dell’art. 14 del Reg. UE n. 2016/1624 che, in buona sostanza, costituisce lo scheletro normativo di Frontex ovvero l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera fondata nel 2004. Come riporta il sito ufficiale dell’Unione Europea essa, tra le varie funzioni, svolge:a
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- Assistenza per la protezione delle frontiere esterne dello spazio di libera circolazione dell’UE;
- controllo della migrazione con responsabilità di lotta alla criminalità transfrontaliera;
- ricerca e salvataggio ogniqualvolta si verifichino circostanze nel contesto della sorveglianza delle frontiere marittime.
Ora è comprensibile il perché sia stata rivolta opportuna segnalazione alle Autorità italiane da parte di Frontex la notte del 26 febbraio scorso quando è accaduto il drammatico evento del naufragio sulle coste crotonesi. Posto, quindi, che le Autorità italiane avrebbero risposto avviando i controlli in mare stando alle indicazioni ricevute, vedrà la magistratura quali eventuali responsabilità giuridiche saranno riscontrabili sull’accaduto.
Quel che, invece, va chiarito è il terreno politico su cui il nostro Paese non deve inciampare. I migranti che viaggiano sui barconi, al netto del reato commesso dagli scafisti e del possibile illecito di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, sono persone disperate (almeno si presume fino a prova contraria).
È risaputo che il loro status giuridico va valutato ed accertato a posteriori (cioè dopo l’arrivo in Italia) a meno che non subiscano un controllo di polizia giudiziaria o di altra natura proprio in mare aperto. È, invece, non regolabile da alcuna norma lo status di disperazione, motivo per cui non si può respingere alcun migrante che, per il sol fatto di essere su un barcone di fortuna, metta conto della propria vita a fronte della traversata mediterranea.
È quest’ultimo il terreno politico con cui il nostro Paese fa i conti: se le Autorità fanno il loro dovere, non significa che la politica può abdicare al ruolo di doverosa unità su un tema così delicato. Quindi, combattere i traffici illeciti di migranti è giusto; evitare le partenze illecite altrettanto.
Ma questa “legalità sensoriale” vale la vita di chi parte con i barconi sperando, pur trasgredendo la legge italiana, che è meglio qui nella penisola di Dante Alighieri che nel proprio Paese di provenienza?
Intendiamoci su un punto: proprio per il principio di non respingimento non ci si può più inchiodare su un piano di chiusura verso le politiche migratorie laddove solo il 5,7% della popolazione mondiale vive in condizioni di “democrazia completa” secondo il Democracy Index 2020.
Pur con tutte le difficoltà e le storture di sistema, l’Unione europea garantisce uno spazio di libertà e democrazia che non è godibile sul fronte est del globo ed in quasi tutto il continente africano. La domanda quindi nasce spontanea: i flussi migratori irregolari saranno sempre crescenti rispetto a quelli regolari?
Sì, intuibilmente. E per una ragione su tutte: i Paesi non democraticamente sviluppati (e specie quelli di deriva autoritaria o di impianto totalitario) non hanno interesse a stabilizzare rapporti migratori ufficiali se non in minima parte perché le migrazioni irregolari non solo alimentano il mercato clandestino (cioè delle tratte umane) con effetti economici interni, ma diventano lo strumento per alzare il prezzo di contribuzione per i Paesi che vorrebbero bloccare tali flussi ovvero rimpatriare puntualmente.
Allora, se siamo davvero una democrazia matura, non possiamo che consolidare alcuni elementi di base insuperabili con riguardo al fenomeno migratorio:
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- soccorrere persone in mare è doveroso;
- non respingere è civiltà;
- accogliere deve essere percepito come una opportunità.
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“Non possiamo accoglierli tutti” si sente spesso dire. Forse è vero, ma se siamo un Paese serio e capace, possiamo far diventare i migranti buoni contribuenti e secondo le leggi giuste anche buoni cittadini. E su questo l’Unione europea deve esserci in prima linea accollandosi il grosso gestionale dell’accoglienza stabile sui Paesi di primo affaccio.
In ultimo, se è vero che non esiste un diritto alla partenza con i barconi, è anche vero che la scelta etica del nostro mondo (proclamatosi civile) non può essere una risposta fredda e tranciante.
Mica si può normare la disperazione. Demonizzando le migrazioni irregolari, che pur vanno combattute, si finirà comunque per esserne travolti.
Facciamoci “pronti come sistema Paese” governando il fenomeno, con una idea di inserimento, non solo facendo leggi che lo stesso migrante, il più delle volte, non sa o non può comprendere.
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