La rivista Time lo ha inserito tra i “30 under 30” che hanno cambiato il mondo: è Brandon Stanton – classe 1984 – fondatore, nel 2010, del blog fotografico “Humans of New York”, oggi, famoso in tutto il mondo con circa 30 milioni di follower tra Facebook e Instagram.
La chiave del successo di questo racconto fotografico che, negli anni, si è arricchito di migliaia di ritratti di strada, è principalmente uno: l’umanità condivisa di chi, ritratto in ciascun post, parla della propria storia in prima persona, spiega come si sente, da dove viene, perché è così felice o sta tanto male. E così, ogni frammento di vita, catturato nel volto di quella persona, è in grado di rappresentare mille altre vite, emozioni, storie: di chi guarda, legge e si appassiona.
Il progetto nasce, 13 anni fa, quando Stanton – ex operatore di borsa a Chicago – decide di cambiare vita, trasferirsi a New York insieme alla sua Canon EOS 7D per fotografare 10.000 newyorkesi e creare così un “catalogo rappresentativo degli abitanti della città”: c’è lo spacciatore di Fentanyl, il clochard un tempo imprenditore di successo (e viceversa), la giovane donna finalmente rinata dopo anni di abusi e la ragazzina ritratta con lo skateboard sotto braccio e una nuvola di dreadlock viola in testa.
C’è, soprattutto, la vita di ciascuno di loro che si intrufola nella macchina da presa e diventa una lacrima, un sorriso, una smorfia buffa. E la bravura dell’autore sta nel creare la migliore sintesi possibile tra immagini e parole: le foto, a colori, sono affiancate da didascalie che, senza forzature, rispondono alle domande poste da Stanton off the record: “Raccontami qual è la tua più grande lotta in questo momento? E il momento più felice della tua vita?”.
L’empatia è l’elemento indispensabile per mettere a nudo l’umanità dei protagonisti. Tanto che i giornali americani – nel recensire il progetto – parlano dell’“impero dell’empatia di Brandon Stanton” e di come “Humans of New York sia diventato una macchina filantropica condotta da un solo uomo”.
In effetti, attraverso la piattaforma di raccolta fondi GoFundMe, Stanton ha finanziato moltissime cause con i propri post: in 18 mesi, è stato calcolato, ha raccolto quasi 8 milioni di dollari per le ragioni più diverse. Tra le altre: ha realizzato il sogno di una preside che da tempo progettava di portare in gita ad Harvard i propri alunni svantaggiati. Ha aiutato: una ballerina di burlesque in pensione che faticava ad andare avanti, una paziente oncologica che si era arretrata nel pagamento dell’affitto, una coppia di migranti in difficoltà nell’assicurare al figlio, malato cronico, le terapie necessarie.
Il suo successo ha convinto l’Onu – alcuni anni fa – a prendere Stanton come testimonial del programma Millennium Goals, gli obiettivi del millennio delle Nazioni Unite per combattere la povertà: per 50 giorni il fondatore di Hony ha viaggiato per il mondo e fotografato le persone raccontandone le storie.
Ne sono nate alcune serie speciali: con i rifugiati siriani in Europa; con i veterani americani sopravvissuti all’Iraq e all’Afghanistan; con i detenuti di cinque diverse prigioni federali, infine, con i pazienti oncologici pediatrici.
Perché, come diceva Auguste Comte, “Niente alla fine è reale eccetto l’umanità”.
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