Il titolo è già piuttosto eloquente. Giorgia Meloni è “La regina della rete”. La formula è quella scelta da Domenico Giordano per definire le performance digitali del presidente del Consiglio. Giordano le ha sviscerate e racchiuse in un saggio pubblicato poche settimane fa per Graus Editore e presentato in anteprima lo scorso 4 aprile a Palazzo Giustiniani, a Roma.
All’interno dello scritto – aperto dalla prefazione di Antonio Palmieri, deputato e responsabile nazionale della comunicazione elettorale di Forza Italia, e chiuso dall’intervista a Tommaso Longobardi, responsabile della comunicazione social di Giorgia Meloni -, Giordano ripercorre analiticamente e con il supporto decisivo dei numeri, le fasi politiche e comunicative che hanno portato al ribaltamento dei rapporti di forza nel Centro-destra, in particolare, ovviamente, tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni.
“La frattura tra un prima e un dopo, tra un galleggiamento di pura sopravvivenza e uno tsunami capace di abbattere tutta la concorrenza che le si parava davanti, è racchiusa nell’arco temporale che si apre con la crisi del governo Conte I, siamo nel pieno dell’estate agli inizi di agosto 2019, e si conclude con una seconda crisi di governo, quella del gennaio 2021 che sancisce la fine dell’esperienza di Giuseppe Conte e l’arrivo a Palazzo Chigi di Mario Draghi. È questa la finestra di opportunità che Salvini e Renzi servono involontariamente su un piatto d’argento a Giorgia Meloni”. Giordano, spin doctor e analista che nella comunicazione politica ha già piazzato alcune non trascurabili bandierine (si pensi a “De Luca.
La comunicazione politica di Vincenzo De Luca, da sindaco a social star”), analizza dunque questa parentesi temporale. Include nella competizione anche Matteo Renzi che, in maniera del tutto involontaria, a suo dire offre alla Meloni la possibilità di passare all’incasso. Per dare il senso di tutto ciò, tuttavia, bisogna partire dai dati. Come ci dice lo stesso Giordano, al 31 dicembre 2019, “Salvini era il re delle interazioni social: ben 361,6 milioni. Nello stesso periodo, Giorgia Meloni riusciva a portare il totalizzatore delle interazioni a 64,3 milioni. Lo scarto, insomma, sfiorava i 300 milioni di interazioni”. Com’è stato possibile rivoltare come un calzino una situazione di questo genere?
Giordano, partiamo da un presupposto: un “mi piace” o una condivisione non sono un voto. Ma allora cos’è cambiato tanto da ribaltare completamente i rapporti di forza?
Il singolo like, come dice anche Amenduni, non corrisponde a un voto. Però, oggi i leader si sfidano sul mercato dell’attenzione digitale, dunque un like è una quota dell’attenzione digitale. Più continuità hai con la tua comunità, più crei la familiarità digitale. Nel momento in cui il cittadino decide di trasformarsi in elettore (parliamo dei cittadini depolarizzati), mantiene nel tempo un rapporto di vissuto quotidiano con il leader. Se domani ci sarà un’elezione, quel cittadino sarà più propenso a scegliere quel leader. Perciò definisco il semplice like come “un microdeposito sul conto corrente in rosso della fiducia”. Il presidio costante della piattaforma serve a quello, a calamitare gli utenti verso le proprie issue. In questo, Giorgia Meloni è stata abilissima.
Nelle prime pagine del tuo scritto, citi un fenomeno che oggi è piuttosto importante e considerato: l’effetto bandwagon. È legato, come dice Tommaso Longobardi nell’intervista, alla decisione di puntare sulla “forza della sua figura”? E quanto credi abbia inciso, una volta avviata la macchina di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia?
Ha inciso in maniera considerevole: nel tempo, i dati hanno sempre dimostrato che più saliva l’attenzione digitale nei confronti della Meloni, più non salivano quelle nei confronti di Conte. I dati settimanali di SWG lo dicevano in modo incontrovertibile: all’aumento delle interazioni nei confronti del leader corrispndeva l’aumento della propensione dei cittadini a votare FdI. Il dato personale, dunque, si è trascinato il dato di consenso verso il partito.
Sulla Meloni si è detto che la sua scelta di stare all’opposizione sia nel governo gialloverde che nell’esecutivo Draghi l’abbia favorita non poco. Indubbiamente ha avuto mani libere da vincoli governativi e da decisioni – anche impopolari – da assumere. Quanto e come ha pesato, invece, la strategia comunicativa adottata nel corso della pandemia, quando tutta l’attenzione era concentrata su quelle figure istituzionali che avevano il potere di decidere?
Come scrivo nel libro, la vera svolta parte da agosto 2019, con il Papeete e i “pieni poteri” invocati da Salvini. Alle europee di quell’anno, Fratelli d’Italia raccoglie il 6,4%. Ma lei porta in dote a questo risultato una linea di coerenza. Sceglie di stare sempre all’opposizione, prima in compagnia, poi da sola, senza mai inseguire la comodità della poltrona. Ciò le ha dato la possibilità di proporsi con credibilità all’elettorato, sia sul digitale che, poi, nelle urne.
Sei un fautore della teoria dei vasi comunicanti tra Lega e Fratelli d’Italia? I voti persi dalla Lega sono convogliati tutti al partito della Meloni, o quest’ultimo ha attinto anche altrove?
Secondo me parla di vasi comunicanti è tutt’altro che sbagliato. Leggendo e interpretando i dati, il travaso è stato evidente. E c’è stato perché quando alla comunicazione della Lega c’era Morisi, ma anche dopo, la scelta dei temi era data dalla capacità del tema stesso di viralizzarsi. Ma questa dinamica alla lunga non paga. La Meloni invece è sempre partita dal contenuto per supportare il dato: cioè, utilizzo il contenuto nella maniera che preferisco – più pop, più istituzionale, più politica – per far “impazzire” il dato, per farlo esplodere. La sua formazione è quella di partire dal tema, dal contenuto, non dal dato.
Nel passaggio da un ruolo politico a un ruolo istituzionale, di sicuro c’è stato un cambio nel comportamento della Meloni. Si può dire lo stesso dei risultati?
Senza dubbio. Durante la campagna elettorale, la leadership politica le ha portato in dote un numero impressionante di interazioni. Il cambio di ruolo, e quindi il passaggio a una leadership istituzionale, e di contenuti, abbiamo registrato la diminuzione di una quota consistente di interazioni ma, parallelamente, a un aumento del dato relativo alla credibilità. Quest’ultimo è testimoniato dal boom di follower rispetto a prima. Da novembre a gennaio, la Meloni ha messo insieme 500mila follower su TikTok, sfondando il muro del milione e diventando la più seguita su quella piattaforma.
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