Stando alle dichiarazioni fatte alla stampa, domani Carlo Calenda dovrebbe decidere la collocazione del suo partito, Azione, che a queste elezioni si presenta sotto lo stesso simbolo con Più Europa, il partito di Della Vedova ed Emma Bonino. La scelta sarebbe o all’interno della coalizione tutti-frutti guidata dal PD, o a fondare un terzo polo liberal-democratico insieme a Italia Viva, la formazione di Matteo Renzi.
Se la scelta si dovesse fare sui programmi, non c’è partita
Se la scelta si dovesse fare sulla base della comunanza dei programmi e la visione politica, non ci sarebbe partita: nella coalizione tutti-frutti si sono accodati gli anti-Draghiani di Articolo Uno, dei Verdi, di Sinistra Italiana: tutte formazioni che mal giudicano l’Agenda Draghi, vedono col fumo negli occhi la stessa leadership di Mario Draghi, e hanno posizioni sulla guerra fra Russia e Ucraina opposte a quelle di Azione e di Più Europa.
Si va dalla neutralità fra aggressore e aggredito a una esplicita ostilità nei confronti della Nato e degli Usa, che ai loro occhi di co.o.co (comunisti o cocomeri, verdi fuori e rossi dentro) sono i veri responsabili della guerra. Per non dire delle posizioni contro i rigassificatori di Piombino e Ravenna, da Draghi giudicati “questioni di sicurezza nazionale”, o della contrarietà alle trivellazioni in Adriatico. Questi “compagni che sbagliano sempre” ritengono ancora oggi Conte un “fortissimo punto di riferimento dei progressisti”, basti leggere gli accorati appelli di Chiara Geloni a non rompere con colui che portò l’esercito russo sul territorio italiano, concedendo alla ex armata rossa l’accesso ai dati sanitari degli italiani. E taccio sul valore della conversione a U di un Luigi Di Maio, stregato non si sa se dalla bravura di Draghi o dall’ebbrezza del potere.
I 14 punti del Patto repubblicano indicano terzo polo
Senza poi contare le affermazioni di Calenda da quando Azione è nata: ha sempre detto, ripetuto e ribadito che non aveva alcuna intenzione di entrare in una coalizione tutti-frutti che non condividesse nulla al di fuori della comune alternativa alla destra di Meloni, Salvini e Berlusconi. I famosi 14 punti del “Patto repubblicano” e l’entrata, in Azione, di ministri ex Forza Italia quali Gelmini e Carfagna sono lì a testimoniare la distanza culturale e politica fra la formazione che si richiama all’azionismo e al socialismo-liberale e una sinistra frammentata e litigiosa che a 30 anni dalla Bolognina non ha ancora capito quale siano i propri confini ideologici e valoriali.
Lo stesso Renzi ha spiegato come sui 14 punti del Patto repubblicano ci sia una pressoché totale comunanza d’intenti e di visione, forse a eccezione delle politiche sanitarie, dove lo statista toscano propende per una gestione differente da quella del responsabile Sanità di Azione, Walter Ricciardi, e per la richiesta del Mes.
Il problema del simbolo e delle firme
Tuttavia la politica è l’arte del reale: Calenda dipende da Bonino per poter partecipare alle elezioni senza dover raccogliere in 15 giorni d’agosto le almeno 20250 firme in 54 collegi su 64. Questione di simboli e di rappresentanza parlamentare, come spiega questo ottimo articolo di You Trend. Ma le firme, se Azione si presentasse con Italia Viva, potrebbero non essere necessarie tanto quanto. A quanto se ne sa, la leader radicale sarebbe orientata, a questo giro, a presentarsi sotto l’ombrello del PD, anche per non voler costruire un polo alternativo con Matteo Renzi, reo di non averla confermata alla Farnesina nel passaggio fra il governo Letta e il governo Renzi. Uno dei maggiori errori politici di Renzi, insieme alla mancata difesa del sindaco di Roma, Ignazio Marino.
A oggi, non è da escludere nemmeno una spaccatura fra Bonino e il resto di Più Europa, o fra Più Europa e Azione nel caso che domani Calenda decidesse di formare il terzo polo.
I sondaggi promuovono il terzo polo con IV
Eppure diversi esperti di sondaggi indicano come un polo socialista-liberale e libdem che si presentasse da solo, arriverebbe alla doppia cifra, fra il 10 e il 15% e forse anche più. Il dato più interessante è che diversi di quei voti sarebbero sottratti all’elettorato di Forza Italia e della Lega, spaesato più che mai dal tradimento di Berlusconi e Salvini contro Draghi. Un governo che continua a inanellare un successo economico dopo l’altro, perfino durante un periodo di siccità, inflazione, guerra e pandemia. Lo schiacciamento sulle posizioni di destra radicale di Meloni non piacciono a quei moderati che si auto-definiscono liberali e a molti imprenditori del Nord. Ai quali va però data un’alternativa credibile e solida da votare, se li si vuole sottrarre a Forza Italia e alla Lega.
Al contrario, se Azione rimarrà alleata in coalizione con Fratoianni, Geloni, Bersani e Bonelli, gli stessi esperti di sondaggi prevedono che la formazione di Calenda e Bonino rimarrà ampiamente sotto il 10% (c’è chi dice addirittura la metà) cedendo un 1-2% a Italia Viva se si presentasse da sola e, soprattutto, non strappando nemmeno un voto a Forza Italia e alla Lega.
Un’occasione storica per i libdem italiani
Insomma, la scelta di Calenda sembra richiedere non solo rispetto della propria parola e coerenza, ma anche un minimo di fiuto politico e di coraggio. Con lo spin e il cono di luce mediatico di cui Calenda e soci godono in questi giorni, l’ipotesi di raccogliere quelle 20.250 firme non appare proibitiva. Dunque, la scelta di Calenda è semplice, se lui ha un’oncia di capacità politica.
Se nascerà un terzo polo libdem e questo andrà in doppia cifra, sarà un fatto politico che avrà conseguenze sulla vita politica italiana dei prossimi 20 anni. Se invece Calenda resterà sotto l’ombrello di Letta, Fratoianni e Bersani sarà l’ennesimo fallimento, l’ennesima delusione per quell’elettorato libdem italiano che non trova soddisfazione dai tempi di quell’8,5% che premiò la Lista Bonino alle Europee del 1999.
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