Articolo Di Roberto Biondini
“Lei deve scusarci ma noi facciamo il nostro dovere.” “E le pare una cosa corretta questa?” Così rispondeva Totò (l’evasore) alla richiesta di Aldo Fabrizi (l’esattore) di pagargli le tasse nel film ‘I tartassati’. La notorietà popolare di questo argomento delicato è probabilmente più grande dei due comici italiani, ma sicuramente meno divertente. D’altra parte, se in materia tributaria si ponesse più serietà, sia lo Stato che il contribuente italiano sorriderebbero. Difatti, in una nazione dove, da un lato, si ha uno dei livelli d’evasione fiscale più alti dell’Unione Europea, dall’altro, uno dei livelli di tassazione più elevati del mondo occidentale, si ride poco. Che una sia la causa dell’altra o viceversa è difficile provarlo e l’analisi storica ci porterebbe lontano; più facile è condividere l’idea che se le tasse le pagassero tutti i cittadini, esse si potrebbero abbassare. Sono quindi mirabili tutti i tentativi di legge che si pongono il fine di massimizzare l’emersione del nero con il triplice obiettivo di: rispetto verso i contribuenti onesti, incremento dell’introito tributario senza aumenti di imposte e, infine, alleggerimento del carico fiscale sulle spalle dei cittadini.
Il piano anti-contante promosso dal governo va in questa direzione e, anche se ancora in forma sperimentale, potrà aprire una nuova stagione di riforme contro l’evasione fiscale in Italia. Come capita ogniqualvolta che un nuovo strumento viene messo in pratica, i dubbi e le polemiche (seppur legittime) non tardano ad arrivare, con il rischio connesso che le proposte indicate si sciolgano presto come neve al sole. D’altra parte, è impensabile che ogni legge dello Stato sia perfetta, per cui, è certamente positivo il contributo collettivo degli attori della politica e della società civile volte a migliorarne la forma. Ad ogni modo, a parere di chi scrive, il piano cash-less è già sufficientemente articolato per dare i primi frutti. Nelle prossime righe, piuttosto che riassumere didascalicamente le proposte (presenti in qualsiasi giornale on-line), si cercherà di schiarire le perplessità esistenti, partendo dalle tesi contrarie poste in essere.
In primo luogo, si pone il dubbio sulla necessità generale di questa riforma. La motivazione di quest’ultima si evince dalla triste constatazione che, come ricordato in precedenza, l’Italia ha un valore del sommerso altissimo: Carlo Cottarelli ne “I sette peccati capitali dell’economia italiana” la (sotto)stima a circa 130 miliardi di euro, l’8% del PIL italiano del 2014. Per farne capire l’entità, si pensi che corrisponde (annualmente) a quasi il prodotto interno lordo perso solo quest’anno a causa della crisi economica dovuta al Corona virus, un’enormità. A fianco delle motivazioni economiche, si ripete ancora la necessità legale di far rispettare le leggi dello Stato e l’esigenza morale di rispettare chi le tasse le paga. Questi ultimi, che magari adempiono ai loro doveri anche con lacrime e sacrifici, non solo si ritrovano meno soldi in tasca di chi non le paga, ma condividono con loro il godimento dei servizi pubblici finanziati dalle imposte versate! Senza considerare che le tasse possono aumentare per sopperire al mancato introito di parte di esse.
In secondo luogo, in modo più specifico, si polemizza sul costo del POS per i commercianti e delle transazioni elettroniche più in generale, facendo notare che basterebbero più controlli mirati per risolvere il problema. Per quanto riguarda l’ultimo punto, è chiara l’impossibilità di fare controlli serrati ex-post da parte delle forze dell’ordine su tutto il territorio italiano. Si ricordano poi, le infinite polemiche sull’allora premier Mario Monti quando prese la decisione di spedire la guardia di finanza a sorprendere le persone con le mani nella marmellata. Per quanto riguarda i costi relativi all’utilizzo del POS, è vero che le spese di transazioni siano un problema. Il fatto quotidiano riporta che “il costo applicato dall’istituto per ogni transazione è variabile: Unicredit, Intesa e Poste chiedono dal 2,3 al 3%. Poi ci sono la spesa per l’installazione (può arrivare a 100 euro) e il canone mensile, tra i 10 e i 50 euro.” Su questo fronte si fa però notare che l’impegno per rimuovere i costi esiste già: i commercianti da luglio possono usufruire di un credito d’imposta del 30% che matura sulle commissioni pagate; tutte le micro-commissioni fino ai 5 euro (tra le più frequenti) sono state azzerate globalmente e non si escludono iniziative singole delle banche o riduzioni per i pagamenti per cifre superiori. In più, si fa notare che con il risparmio che verrà generato, in valore di miliardi di euro, si potrà continuare la progressiva eliminazione dei costi di transazione e vedendo la volontà del governo, non si esclude che tale azione possa partire sin da subito.
In terzo luogo, si pone una questione etica: la violazione della privacy. A questo proposito, si fa subito notare che la proposta dell’esecutivo non obbliga nessuno al pagamento digitale, una scelta corretta a parere di chi scrive. In aggiunta, non si comprendono le perplessità sulla politica di privacy promossa e assicurata da parte dello Stato italiano il quale, si ricorda, fa parte di un regime democratico e non autoritario, come sancito dalla costituzione. Se non ci si fidasse dello Stato, perché allora si dovrebbero compilare le dichiarazioni dei redditi ed ogni sorta di richiesta di bonus esistente? Senza considerare, infine, la miriade di cookies e cache privati presenti sui siti web che i cittadini accettano quotidianamente e che forse sono più pericolosi.
Si rimanda, infine, ad un precedente editoriale “Velocità, comodità, sicurezza: un’idea pratica per rivoluzionare il sistema dei pagamenti” per comprendere anche i vantaggi sanitari (di questi tempi) che l’utilizzo dei pagamenti elettronici promuove.
La materia fiscale è un terreno scivoloso da sempre, per ovvie ragioni. In ugual modo, combattere l’illegalità e difendere i cittadini che seguono i principi dello Stato sono obiettivi di necessità morale oltre che legale. “Il denaro dei contribuenti deve essere sacro” si pensa abbia detto un padre della patria come Luigi Einaudi, sicuramente lo dovrebbe pensare ognuno di noi.
Roberto Biondini
Giovane bocconiano neolaureato in economia e finanza da breve tornato da un’importante esperienza a Bruxelles
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