Nell’albo del gruppo “The Borderline”, oltre a milioni di visualizzazioni e centinaia di sfide a duecento chilometri orari, adesso il triste primato di un morto, un bimbo di cinque anni di nome Manuel, vittima del non-sense criminogeno a cui sono giunti i social.
Quando i social sono comparsi all’orizzonte li avevamo salutati come l’alba di una rete che avrebbe unito le intelligenze mentre adesso sono addirittura uno strumento che attenta alla nostra incolumità e che non ci fa stare tranquilli dovessimo trovarci vittime inconsapevoli di “challenge” pericolose e, ripeto, criminali.
Partiamo da qui per dare la misura (colma) di quanto non abbiamo fatto sull’uso consapevole e civico dei social da parte dei nostri ragazzi e soprattutto sul tantissimo che dovremmo fare per porre un argine culturale e comportamentale alla deriva anarchica di questi tempi. Il tasso di demenzialità ha raggiunto livelli inaccettabili, la tossicità del linguaggio ostile per non dire intimidatorio è fuori misura, la stupidità spacciata per comicità a catena fa impressione ogni volta che ci si logga a queste piattaforme nel cui network naviga un pezzo di gioventù (con una percentuale di over 40 che non sono da meno) che di bruciato o marinato sembra avere il cervello. Sono le righe di un bacchettone “cringe”? Ma finiamola.
Abbiamo il tasso di analfabetismo funzionale tra i più alti fra i paesi OCSE contrapposto al maggior numero di ore passati su Instagram o Tik Tok (oltre i 300 minuti al giorno) come a dire una proporzionalità inversa tra quantità di navigazione e qualità della vita sociale. Come la chiamiamo questa, la conquista del far-web? Suvvia. Recenti studi, poi, hanno ormai certificato almeno due considerazioni generali:
Anzitutto l’uso eccessivo dei social media può influenzare negativamente il benessere psicologico, compromettendo sia la quantità che la qualità del sonno. La necessità compulsiva di controllare le notifiche porta ad un costante stato di allerta, ritardi nell’addormentamento e frequenti risvegli notturni per verificare il telefono. Sebbene i social media possano fungere da strumento di connessione, dando l’impressione di essere in molti posti contemporaneamente, si trasformano anche in un potente mezzo di confronto, consentendo di paragonare la propria vita con quella degli altri. Questo confronto, seppur automatico e apparentemente efficiente per il nostro cervello, può avere effetti pericolosi, soprattutto su adolescenti e giovani in fase di sviluppo.
E – secondariamente – l’abuso scriteriato di presenza nei social può diventare (clinicamente parlando) un “vettore” per quella sindrome chiamata FOMO (acronimo dall’inglese che sta per “Fear Of Missing Out” cioè la “paura di essere esclusi” o “paura di perdere qualcosa”) tradotto in comportamenti di alienazione e labirintite, terrore di dimenticare o di non esserci socialmente. Non è un’iperbole ma una declinazione che si declina a scuola o in famiglia quando la presenza accanto dello smartphone è più rassicurante di un contatto in presenza di un genitore o persino di un compagno di classe.
Tornando alla cronaca criminale più recente, tutto parte dalla voglia di goliardia mista al profitto. Oggi ci si indigna ma non poco tempo fa era facile leggere (come fa notare Dario Marchetti di Rainews24 ) i complimenti da parte delle aziende tech per aberrazioni di questo tipo, probabilmente perché veicolano un mercato di consumo digitale senza preoccupazioni e scrupoli morali
Con la conseguenza che le “sfide” per fare visualizzatori alzano l’asticella del rischio fino al limite più estremo non badando alla potenziale morte di sé stessi e degli altri.
Nel caso della morte del bambino di Casal Palocco, alla guida della Lamborghini (presa a noleggio) c’era il fondatore di un canale (appunto “The borderline”) noto per condividere “i video più assurdi di YouTube Italia”, con una community dentro la quale esiste un metodo utilizzato per attirare un vasto pubblico giovanile.
Quello cioè di sfidarsi a compiere azioni estreme, registrandole in video: in un video diffuso poco prima di un tragico incidente, si ironizzava sulla potenza della macchina di grossa cilindrata sbeffeggiando i proprietari di Smart – il modello di auto coinvolto nel loro incidente fatale.
Coincidenze? Decideranno gli investigatori.
Rimane il dolore del piccolo bambino ucciso che nessuna “sfida” potrà mai restituirci alla vita. Faccio mie le domande di Walter Veltroni e che ripeto anche qui: E se ci fermassimo tutti un momento? Se riponessimo il nostro terzo braccio, il cellulare, e ci guardassimo negli occhi per chiederci, semplicemente, «dove stiamo andando?
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