Da quando è scoppiata la pandemia del Coronavirus si è parlato molto delle sue ripercussioni negative sull’economia italiana, europea e mondiale. Tutto questo è inevitabile, e corretto, considerando che l’impatto che l’emergenza avrà sul sistema produttivo e dei consumi sarà purtroppo enorme.
Tuttavia, come in ogni altra situazione di crisi profonda, possiamo e dobbiamo sforzarci di trovare dei risvolti positivi, che ci aiuteranno a ripartire. Personalmente, ritengo che gli aspetti positivi, soprattutto in termini di learning per il futuro, che possiamo trarre da questa situazione sono molteplici.
Dalla maggiore consapevolezza della fragilità sociale ed economica della nostra comunità, alla necessità di farci trovare pronti ad affrontare emergenze simili in futuro, sono molti gli insegnamenti di cui dobbiamo fare tesoro.
Nessuno di noi, infatti, avrebbe mai pensato che ci saremmo potuti trovare in una situazione di tale gravità. Ora che ne abbiamo la consapevolezza, invece, il nostro modo di pensare deve necessariamente cambiare.
Se è vero, come affermano pensatori e studiosi della psiche umana, che la consapevolezza della propria debolezza è una forza, questo sarà il nostro punto di partenza.
Oltre a ciò, su cui dovremo ragionare in futuro, c’è un altro aspetto positivo che attirato la mia attenzione: la rivincita delle competenze.
Non si può infatti non notare come le competenze, non solo in campo medico-sanitario, siano ormai protagoniste su ogni media tradizionale e digitale. Con questo non voglio certo affermare che siano scomparse le fake news e l’ignoranza degli analfabeti funzionali, purtroppo sempre vive sui social e nelle chat.
Quello che ho notato con piacere, però, è l’onnipresenza di esperti (veri e non sedicenti tali) in ogni programma televisivo, radiofonico o digitale.
Sono scomparsi gli opinionisti buoni per tutte le stagioni, alla Alba Parietti o Selvaggia Lucarelli, che ad alcuni possono certamente piacere, ma che in questo momento non darebbero alcun valore aggiunto.
L’intervista ai medici, virologi, epidemiologi o specialisti in altri campi della medicina, è ormai un must have. Dalle conferenze stampa ufficiali alle interviste con collegamento via Skype, la presenza di esperti in materia medico-sanitaria è ormai imprescindibile.
Il Professor Galli dell’Ospedale Sacco di Milano, il Professor Lopalco dell’Università di Pisa e il Professor Pregliasco del Gruppo San Donato, sono solo alcuni degli scienziati che “occupano” spazi sempre più importanti sui media tradizionali.
Il momento per me più rassicurante, in queste settimane, è rappresentato dall’intervento del Professor Burioni a “Che tempo che fa” su Rai 2.
Il celebre virologo, ormai ospite fisso della trasmissione, ci aggiorna ogni domenica con serenità, semplicità e chiarezza, sul “termometro” dell’epidemia.
Burioni, noto ai più per le sacrosante battaglie a favore dei vaccini, fu il primo a metterci in guardia sull’epidemia, ma rimase purtroppo inascoltato.
Anzi, il Professore è stato attaccato ingiustamente per aver affermato, a fine febbraio, che in quel momento il rischio di contrarre Coronavirus in Italia era pari a zero, in quanto non si registrava ancora la sua presenza nel nostro paese.
Solo un analfabeta funzionale o qualcuno in malafede, e in Italia entrambe le categorie sono ben nutrite, potrebbe dare un’interpretazione distorta a quella frase e criticare la credibilità del Professore.
Tornando alle cose positive, “Ormai non si trova più un no-vax a pagarlo” affermava, a ragione, l’ex Premier Matteo Renzi qualche settimana fa.
E, insieme a questi, non si vedono più omeopati, naturopati, sostenitori dell’esistenza delle scie chimiche e altre amene creature. Sembra evidente come, nel momento dell’emergenza e conseguentemente della paura, i “rimedi naturali” non appaiono più così alla moda e intelligenti.
Le persone, anche le più semplici, in una situazione così grave e senza precedenti, cercano nuovamente conforto nella scienza.
In questo, personalmente, vedo un incoraggiante ritorno al passato. Un passato certamente più povero di conoscenze e di mezzi per alimentarle, ma in cui le persone, consapevoli dei propri limiti, si affidavano agli esperti. Un tempo in cui la conoscenza era apprezzata al limite dell’adorazione e non denigrata per il solo fatto di non essere comprensibile a tutti.
Un passato che, se dovesse tornare, ovviamente solo nella sua parte positiva, farebbe bene alla salute della nostra società.
In questi giorni, improvvisamente, la “versione ufficiale” appare psicologicamente più sostenibile del “chissà cosa c’è davvero dietro”.
È nato un forte bisogno di rassicurazione, che ha preso il sopravvento sulla spasmodica (e ridicola) ricerca di una verità alternativa a quella ufficiale. Una verità, peraltro, la cui esistenza non è mai comprovata.
In tempo di crisi, sanitaria, economica e di identità, solo la scienza, fortunatamente, appare in grado di tranquillizzare gli animi di una comunità ferita.
Nel prossimo futuro, se vorremo ripartire velocemente, dovremo affidarci di più alla scienza e di meno all’improvvisazione.
Se vorremo diventare più forti di prima, solo la scienza, insieme al buon senso, potrà guidarci. Tuttavia la scienza, nel suo essere spesso complessa, non può essere comprensibile a tutti.
Ma dove non arriva la comprensione, deve aiutarci la fiducia. La fiducia nella scienza dovrà guidare il nostro futuro.
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