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Lobby per l’arte

Lobby per l’arte

Quando si cerca di dare una spinta ad un prodotto sul mercato, o a renderlo più abbordabile per le tasche di ognuno di noi perché ritenuto ‘essenziale’, la prima proposta che viene in mente è quella di abbassarne l’aliquota IVA.

Le storie a riguardo sono tante, ma la più nota di tutte è quella della ‘tampon tax’ che è tornata al centro del dibattito dopo che l’associazione Giovani&Futuro ha depositato un disegno di legge di iniziativa popolare per il taglio dell’Iva al 5% sui prodotti per l’igiene femminile e la prima infanzia. La Manovra 2025 ha infatti confermato l’Iva al 10% su assorbenti e pannolini, escludendo un nuovo taglio al 5%. Una scelta che ha suscitato polemiche, soprattutto considerando che in altri Paesi europei l’IVA su questi prodotti essenziali è già ridotta o azzerata.

Poi scopriamo che un prodotto come il tartufo fresco ha un’aliquota Iva al 5%, ed indimenticabile è il vespaio sollevato dalla proposta del Ministro Lollobrigida di abbassare l’aliquota sulle ostriche.

Eppure c’è un mercato, quello dell’arte nel quale l’Italia vanta l’IVA più alta d’Europa: il 22%. Solo se chi vende è l’autore, o i suoi eredi, o se si importa dall’estero, l’IVA scende al 10%.

Chi ne trae vantaggio? Tutti i Paesi con un diverso quadro fiscale, come la Francia dove si paga solo il 5,5%, la Germania con il 7% o l’Olanda che prevede il 9%.

Quale momento migliore che la conversione in legge del Decreto ‘Cultura’ per abbassarla anche in Italia? C’è persino una Direttiva europea alla quale agganciarsi, che dà la possibilità dal 1° gennaio 2025 di inserire “nell’ambito dei beni e dei servizi ad aliquota ridotta anche gli oggetti d’arte e d’antiquariato”. E non solo! La Riforma Fiscale (L. 11/2023) aveva posto tra gli obiettivi la riduzione dell’aliquota sulle importazioni, per armonizzarla con quella degli altri Stati Membri, ma prevedeva anche l’estensione dell’aliquota ridotta, in sostituzione di quella ordinaria, anche alle normali vendite di opere d’arte e oggetti di antiquariato.

L’assenza di queste misure nel Decreto Cultura dimostra la difficoltà nel tradurre le intenzioni normative in azioni concrete. Il grande dibattito sul mancato inserimento di questa norma nel testo ha visto schierati tutti i collezionisti, galleristi e operatori del settore in un’unica lamentela. Ma non si sono limitati al piagnisteo. Federculture e Apollo, le due principali associazioni di categoria, si sono mobilitate e hanno partecipato alle audizioni alla Camera dei Deputati, nel corso delle quali hanno sottoposto questa legittima istanza al legislatore. Nulla di fatto. Sembra che la Ragioneria di Stato l’abbia giudicata come un’immediata riduzione del gettito fiscale. Valutazione miope per almeno tre motivi: un’IVA più bassa evita la fuga degli acquirenti verso Paesi con regimi fiscali più favorevoli; gli italiani importano dall’estero con il 10% di IVA; il fatturato delle gallerie aumenta? aumenterà il gettito dell’Irpef.

Tutte argomentazioni valide che non hanno sortito alcun effetto. Purtroppo nell’attività di lobbying non basta avere delle buone argomentazioni a sostegno della propria richiesta. Il mondo dell’arte ne aveva di ottime. Ma per ottenere un risultato c’è bisogno anche di qualcuno disposto ad ascoltarti e ad assumersi la responsabilità di una decisione.

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