Moderati al bivio. Ad intervalli più o meno regolari, infatti, emerge nel dibattito pubblico il tema della legge elettorale. Neppure l’emergenza Covid è riuscita ad oscurare del tutto quella che per i più è una riforma inutile e lontana dai problemi reali ma che in realtà rappresenta un tema cruciale da sempre.
E’ proprio in base alla tipologia di legge elettorale che si determinano sia coloro che prendono le decisioni, sia gli equilibri che orientano i tavoli importanti. Inoltre, attraverso il tipo di regole si determina la possibilità per gli elettori di poter verificare puntualmente l’attività e l’operato dei governi.
Non è un segreto che l’esecutivo in carica nasce da un accordo organico comprensivo di più temi, tra cui appunto quello di una nuova legge elettorale in senso proporzionale. Si badi bene al fatto che già la legge elettorale attuale (il Rosatellum) è per 2/3 proporzionale e che la riforma in discussione sarebbe un rafforzamento di questo scherma. Per ulteriori approfondimenti sul tema, si rimanda ad accurate analisi su descrizioni di modelli proporzionali e maggioritari già presenti in letteratura poiché ciò non è l’obiettivo di questo articolo. Quello su cui si vuole interrogarsi, invece, è piuttosto se un modello o l’altro siano in grado di inserirsi nella società italiana attuale.
La preoccupazione è che gli italiani siano ormai “istruiti” al bipolarismo. Ciò accade poiché questi ultimi sono osservatori degli alleati anglosassoni, sono stati protagonisti degli ultimi 30 anni pro o contro Berlusconi, sono attori dalle competizioni per elezioni di presidenti di Regione e i Sindaci. Ma anche la Prima Repubblica aveva due poli alternativi (per tutta la guerra fredda, almeno dal ‘63, il PSI scelse di condizionare il polo attorno alla Dc piuttosto che rimanere nel mezzo).
Questi elementi portano a pensare che il ritorno allo schema proporzionale non si inserisca in modo armonioso nella società, col grande rischio di non essere capito. Infatti, tra i tanti problemi che il metodo proporzionale possiede, si ricorda la sua scarsa chiarezza che viene attribuita al voto che non consente all’elettore la possibilità di scegliere nettamente la maggioranza che governa.
La legge proporzionale pura porterebbe a due ipotetiche conseguenze. In primis, ad una potenziale e minore partecipazione al voto. Quindi al “sacrificio” del blocco centrista, schiacciato dalla polarizzazione di media e sentiment popolare (social like/no like). Concreta poi l’ipotesi che il ritorno al proporzionale sia percepito come un’operazione nata nel freddo di una stanza e non dalle esigenze della società (magari è anche vero). Va ricordato, infatti, che quando sono stati chiamati a scegliere attraverso referendum, i cittadini hanno sempre preferito le opzioni maggioritarie.
Un dato pare già da ora chiaro: con l’adozione del proporzionale la nascita di un terzo polo centrista è inevitabile. Da capire, semmai, è se questo polo possa essere capace di ottenere consenso, per i motivi di cui sopra. A ciò occorre aggiungere il fatto che spesso ci si dimentica che la nostra è una democrazia basata sulla rappresentanza e non sulla meritocrazia: contrapporre chiaramente persone di buon senso a sovranisti/populisti (edit. Linkiesta) potrebbe regalare spiacevoli sorprese, con élite e le attuali classi dirigenti che nel contarsi rischierebbero di certificarsi come minoranza delle minoranze.
Poiché le istanze del “polo centrista” sono spesso le uniche che coniugano buonsenso e sostenibilità (di bilancio in particolare), le domande a parere di chi scrive, su cui il dibattito politico è ancora troppo arido, sono: come rendere concrete queste posizioni? Come portarle ai tavoli decisionali citati in apertura?
E ancora: meglio perseverare con coraggio e lungimiranza nella creazione di questo nuovo terzo polo anti-sovranista e anti-populista, oppure è preferibile che i “moderati” siano divisi e ripartiti, come nella seconda repubblica, all’interno di entrambi gli schieramenti di un centrosinistra (o centrodestra) senza trattino, nella speranza che riescano a condizionarne l’azione politica?
A questo punto un chiaro ritorno a quest’ultima strada sarebbe il colpo di scena, la mossa del cavallo, ispirata da saggezza e lungimiranza. Forse per questo non avverrà.
Proporzionale e così sia ma, almeno, con alcune preghiere: che si parli, discuta e si decida sul ritorno alle preferenze. Che si affronti con coraggio il tema del finanziamento dei partiti e quello, ad esso collegato, della democrazia interna ai partiti.
E se il polo centrista nascesse che sia ‘terzo’ davvero: via i dogmi, via i veti: bisogna prendere atto che la politica non si divide in buoni e cattivi.
Le libertà non hanno pregiudizi né a destra né a sinistra.
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