Parole, parole e poco più. Se ci pensiamo questa è la televisione che ha inventato Maurizio Costanzo, fatta di un divano o di qualche poltrona (per alcuni non sempre comoda). Una tv, quella di Costanzo, che lo annovera tra i suoi “grammatici”, dove le parole (spesso vere e proprie alluvioni) sono centrali, il testo decisamente più importanti del contesto o meglio: la sua era una liturgia televisiva minimal (acquario, un orologio a cucù, sedute come fosse un raduno per comunità terapeutica, la passerella introitale con il pianista Bracardi e quella finale con gli ospiti) ), un’officiatura all’interno della quale milioni di italiani s’incollavano alla tv cercando le parole di quel politico, la provocazione di uno Sgarbi, una parabola-parodia di Giobbe Covatta.
Ci lascia un grande del piccolo schermo e già sono cambiati i palinsesti di tutti i canali pubblici che commerciali e sui social è tutto un ricordo affettuoso: in fondo mezzo attuale “cast” dei personaggi che ad oggi vediamo in piccole e grandi performances sono passati dal Teatro Parioli, una sorta di sancta-sanctorum della televisione, la mecca per fare o un salto di qualità ed esprimere un carisma oppure una parentesi del proprio microcosmo trash.
A fare da demiurgo, messo di spalle come officiante grillo parlante, lui Costanzo che provoca un uno-contro-tutti, una battuta fulminante dettando tempi e spazi, applausi e fischi.
Maurizio Costanzo porta in Italia il talk all’americana e dopo di lui tanti piccoli ( mediocri) cloni che hanno peggiorato un genere che invece, con lui, aveva una sua cifra estetica e tratti di innovazione linguistica e politica. Non a caso guardando oggi un talk o si rimane per tifare la propria parte oppure si cambia canale ma non c’è più nulla del costanzismo come lo abbiamo vissuto noi.
Per noi, boomer, il suo show su Canale 5 è stato il primo programma di vera seconda serata dopo anni di buonanotte forzata per svegliarsi al mattino e andare a scuola magari liberi di fumare indisturbati la sigaretta rubata dal pacchetto dei genitori. La sua “Buona Domenica” è stata la rinascita di un Fiorello dopo le discese post karaoke e l’ombra dell’oblio. La sua Maria De Filippi, quarto definitivo e riuscito matrimonio, è stata teneramente e tenacemente guidata al mestiere televisivo così che ha potuto fare Maria De Filippi con tutto il suo codice espressivo attuale. E sul legame con la moglie autrice e conduttrice che ultimamente Costanzo ha dichiarato teneramente: “Le confesso che non so se ne sarò capace, se avrò la forza e il coraggio di tendergli la mia mano quel giorno lì. Troppo dolore. Non voglio che mi resti come ultimo ricordo l’intreccio di quelle dita”.
Tornando alla tv, al centro ci sono sempre state le parole e la loro forza dirompente: l’anatema contro la mafia (che gli è costato un attentato spaventoso fortunatamente sventato senza esiti tragici) i cross-cast conla Rai 3 di Michele Santoro, le interviste che portavano al basso l’alta politica (memorabile quella fatta al potente Andreotti) così come, sempre nello stesso palco, le storie della piccola provincia italiana. Un linguaggio, quello di Costanzo, che metteva al centro umori e sentimenti intercettando l’andamento pop del pubblico stordito dal passaggio violento tra una Rai iper-pedagogica, bacchettona e l’edonismo dei canali berlusconiani. Ecco, Costanzo è riuscito a strizzare l’occhio a tutti, rischiando lo strabismo ma – alla fine – è riuscito con lucidità, maestria ed eleganza a raccontarci il paese. Ci mancherà Maurizio Costanzo, un conduttore con i baffi.
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