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Media, sondaggi, voto: quello che può cambiare davvero

Giornalista, comunicatore, fondatore di Velocitamedia.it
Media, sondaggi, voto: quello che può cambiare davvero

C’è stata più di una circostanza, anche nel recente passato, in cui alcuni partiti non proprio “benvoluti” dalla maggior parte del circuito mediatico hanno, come si suol dire, fatto il botto, andando ben oltre aspettative già rosee delineate dai sondaggi.

La ragione, il più delle volte, è una sorta di “variante” di quella che viene definita spirale del silenzio: si tace il proprio pensiero per timore di essere in minoranza non rispetto all’opinione pubblica, bensì rispetto a quello che i media mettono in circolo (incidendo sull’opinione pubblica). Forza Italia nel 2006, M5S nel 2018, Lega nel 2019. Partiti uniti dall’avversione del sistema mediatico nei loro confronti. Partiti che, però, hanno spuntato un risultato di parecchio migliore rispetto a quello che i sondaggi attribuivano.

Questo cappello si rende necessario per introdurre il tema di oggi, di cui abbiamo parlato con Livio Gigliuto, sociologo e vicepresidente di Istituto Piepoli. Anche perché la quota di indecisi potrebbe essere determinante per registrare anche in questa tornata l’exploit di un partito. “Si tratta di ragionamenti giusti”, esordisce Gigliuto.  “La mia lettura parte da una premessa empirica: gli indecisi sono circa il 20% degli elettori. Di questi, una grossa fetta, cioè il 7%, va nell’urna senza sapere per chi voterà e si lascia andare a una decisione d’impulso. Sono un pezzo del non voto attuale (circa il 35-38% del totale), ma anche di chi esprime un’opinione: in pratica, non tutti sono così convinti di ciò che dicono. Non a caso, nel corso di un sondaggio, una domanda che si fa è ‘Ma il suo voto è assolutamente deciso o può cambiare?’. La si pone proprio perché questa possibilità è concreta. Se quel 20% di indecisi – prosegue il vicepresidente di Istituto Piepoli – decide di andare a votare, si muove come tutti gli altri. Ecco, se volessimo fare le intenzioni di voto degli indecisi, probabilmente sarebbero simili a quelle dei decisi. Gli indecisi sono tali perché non fortemente motivati. Per recarsi alle urne devono avere una motivazione. E spesso finiscono per votare chi è dato per vincitore, nel più classico degli effetti bandwagon”.

Una dinamica che, in sostanza, potrebbe avvantaggiare Fratelli d’Italia? “Potrebbe, certo. Ed è per questo che Letta agita lo spettro del fascismo: ce lo siamo detti, l’obiettivo è polarizzare lo scontro, mentre la Meloni aspetta il giorno del voto per puntare a fare il pieno”. Rispetto ai partiti richiamati in precedenza, FdI non presenta però un elettorato liquido. “Proprio così, questo è l’elemento che ci fa essere prudenti. Anche la Lega, quando ha toccato il 34%, era un partito collocato in un campo preciso, ma che sapeva dialogare con pezzi di società che prima erano orientati nettamente a sinistra. Il partito della Meloni può prendere voti dal Centrodestra, è più difficile invece che riesca a pescare fuori. È un partito identitario, dalla collocazione netta e precisa. Ciò non toglie che possa essere il primo partito della destra italiana a sfondare il muro del 30%”.

Prim’ancora di questo dato, ci sono un paio di cose da considerare il giorno del voto. Cioè: chi sarà il primo partito e quali saranno i rapporti di forza nel Centrodestra. “Sono le due cose da considerare nel giorno delle elezioni. Se le urne ci diranno che FdI è il partito più votato, rivendicherà la premiership. Se invece sarà il Pd, cadranno alcune certezze. Inoltre, se la somma dei voti degli altri partiti di Centrodestra supererà quelli del partito della Meloni, allora Lega e Forza Italia potranno avviare un racconto comune che potrebbe influenzare l’azione politica di FdI, della coalizione e del governo. Insomma, se la Meloni farà il botto, sarà lei a dare le carte”.

Un altro dato, sempre partendo dai numeri, riguarda la percentuale di elettori che non voteranno per i due poli principali. “Siamo al 25% circa, una percentuale molto elevata, che non si registrava da tempo. Si tratta dell’effetto della polarizzazione di una campagna che in realtà non è divisa in due, ma in quattro. Il Terzo Polo – spiega Gigliuto – è quotato tra il 6,5% e il 7%, anche se continuo a credere che il bacino potenziale possa toccare la doppia cifra. Il M5S, invece, si muove intorno al 10-11%”.

Per questa ragione Letta continua a raccontare un confronto a due? Per spostare il fuoco e l’attenzione sui due partiti? Per puntare al rush finale alla palma di primo partito? “Proprio così. Anche la discussa campagna di comunicazione ‘#Scegli’, dove ha utilizzato l’ironia chiedendo una presa di posizione tra guanciale e pancetta, va in questa direzione. Non è una campagna sbagliata, perché quando diventa un meme, vuol dire che sta funzionando. Piuttosto – spiega Gigliuto -, da contestare è l’idea che l’abbia pubblicata lui. L’avrei affidata a qualcun altro. Poteva funzionare nel caso di una unione repubblicana contro il ‘rischio nero da destra’. Non può farlo, per cui cerca di puntare sulla comunicazione. Insomma, sta polarizzando ma in presenza di un’offerta politica parcellizzata”.

 

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