Nella retorica dell’andrà tutto bene abbiamo letto ed ascoltato più volte analisi sociologiche ed antropologiche sulla possibilità che questa emergenza potesse finanche ‘migliorarci’. Il processo interiore di valutazione della propria maturazione a seguito di una fase così delicata dell’esistenza è certamente un patrimonio del singolo individuo. E sono senz’altro d’accordo che per molti il ‘segno’ di questa tempesta inattesa (finora immaginata soltanto a livello cinematografico, per altro in molti casi con doti premonitorie quasi ‘sospette’) porterà significative rivoluzioni nella sfera della vita privata (sociale, affettiva e familiare). Quel che, però, deve fare chi vuole provare a dare un contributo fattivo all’andamento della comunità pubblica è un’analisi sulla gestione ‘collettiva’ dell’emergenza che ovviamente era ed è di competenza dei governi nazionali. Da questo punto di vista sono settimane che abbiamo letto ed ascoltato numerose analisi comparative sulle diverse strade scelte per affrontare questa emergenza sia sotto il profilo sanitario che sotto il profilo economico che sono i due grandi filoni di intervento su cui doveva muoversi ciascuno Stato. Abbiamo scoperto che si sono scelti in molti casi modelli d’azione completamente diversi e che spesso si è repentinamente passati anche da un modello all’altro (come è successo soprattutto all’Inghilterra e agli Stati Uniti dal punto di vista della gestione dell’emergenza sanitaria).
IL DOPPIO BINARIO DELL’EMERGENZA SU CUI È DERAGLIATO IL GOVERNO CONTE – Il nostro Paese con il suo Presidente del Consiglio si è più volte autocelebrato a reti unificate come un modello esemplare dal punto di vista della gestione dell’emergenza. Questo in realtà può valere in parte solo da punto di vista sanitario. Il nostro Governo si è reso conto colpevolmente troppo tardi della gravità della situazione, basti pensare che come racconta il governo stesso sul proprio sito istituzionale risale al 31 gennaio la prima riunione del Comitato operativo per l’emergenza Coronavirus e poi sono arrivate solo l’8 marzo (con oltre 5mila contagiati e più di 200 morti) le prime misure decisive per frenare i contagi. Va però riconosciuto che, poi, la strada del lockdown quasi totale scelta in Italia ha portato ad un notevole contenimento dell’epidemia rispetto al numero di morti che ci sarebbe stato in caso contrario. Quel che, invece, senza ombra di dubbi è stata assolutamente deficitaria in Italia è stata la gestione dell’emergenza economica. Dopo due mesi di lockdown ci sono molte attività economiche che non hanno nemmeno contezza di tempi e modi della riapertura. Ma soprattutto, come spesso accade nel nostro Paese, le ‘possenti misure economiche’ sbandierate si sono rivelate piccoli rattoppi senza cure sistemiche e gli unici interventi di sostegno concreto all’economia (penso al bonus per le Partite iva) sono ancora incagliati nelle pastoie della nostra burocrazia tristemente nota per la sua farraginosità ed assurta in queste settimane a ‘barzelletta’ internazionale. Tutto questo proprio mentre lo stesso Presidente del Consiglio festeggiava in pompa magna, senza nemmeno molta attenzione alle regole di distanziamento sociale, il ‘miracolo italiano’ della ricostruzione del ponte di Genova avvenuta in tempi effettivamente miracolosi solo per le abitudini italiche ed in realtà per un’unica ragione. E cioè i poteri straordinari del Commissario straordinario che hanno potuto scavalcare ogni regola del nostro Codice degli Appalti. Un po’ come è consentito fare al Commissario per le misure di contenimento e di gestione dell’emergenza epidemiologica da Coronavirus. Tutto questo ci mostra ancora una volta che il più grande problema del nostro Paese è che si gestiscono continue emergenze per sanare gli errori del passato (dai ponti crollati alle spese sanitarie tagliate dissennatamente) senza, invece, programmare riforme sistemiche che possano costruire fondamenta solide per un futuro a lungo raggio (come avevo illustrato nella riflessione sulla necessità di indirizzare finalmente il pensiero al futuro lontano).
PER FAR RIPARTIRE L’ECONOMIA DOPO UNA PANDEMIA CI VOGLIONO RIFORME SHOCK COME IN UN DOPOGUERRA – Oggi la nostra economia non ha bisogno di piccoli rattoppi e di bonus momentanei. I dati previsionali sul PIL e sulle aziende che non riusciranno a riaprire sono talmente disastrosi che servono interventi shock come quelli che si mettono in campo quando si esce da una guerra. Interventi repentini ed immediatamente operativi così come ha fatto ad esempio la Germania con una nuova liquidità immessa sui conti correnti delle imprese nel giro di 24 ore. È vero come si potrebbe facilmente controbattere che il nostro è un Paese già fortemente indebitato. Ed allora proprio per questa ragione invece di immettere in circolazione altro denaro contraendo nuovi debiti a livello europeo l’Italia potrebbe e dovrebbe pensare proprio in questo momento ad una riforma fiscale strutturale capace di ‘rianimare’ le imprese e le attività autonome in crisi. In questo momento ad un’impresa o ad un lavoratore autonomo non servono duemila euro una tantum o non serve la possibilità di accedere semplicemente al credito. Servirebbe la possibilità di mettere a bilancio la certezza dell’abbattimento del 50% dei costi fiscali del 2020. Un ‘privilegio’ che in realtà porterebbe semplicemente le aliquote di contribuzione fiscale in Italia per le persone giuridiche ed i lavoratori autonomi verso una soglia più vicina ai parametri dei nostri competitor internazionali e che si potrebbe concedere soltanto alle aziende e ai professionisti virtuosi sotto il profilo della tracciabilità dei pagamenti. Introducendo così finalmente nel nostro Paese quell’obbligo diffuso di tracciamento digitale di tutti i pagamenti di cui ha parlato tante volte il Procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Federico Cafiero De Raho, come strumento indispensabile per arginare l’economia criminale sommersa e nel contempo per poter aumentare il gettito fiscale del Paese e quindi ridurre il peso fiscale per le aziende che rispettano la legge. Si tratta dei classici “due piccioni con una sola fava” per volerci far intendere dalla casalinga di Voghera che pure aspetta risposte concrete dal governo che anche sotto il profilo del Welfare potrebbe essere più incisivo (dagli asili nido alla sanità) se la contribuzione fiscale fosse più equa e meno soggetta all’evasione. Molto spesso le migliori soluzioni, anche in economia, sono quelle più semplici. E da un governo di tecnocrati ci si aspetterebbe almeno quelle minime competenze tecniche ed economiche o forse semplicemente di buon senso che servirebbe in questo momento per far ripartire il Paese.
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