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Nel libro “Il Mostro” Renzi diventa Moby Dick per dei PM Achab

Insegnante, giornalista e scrittore
Nel libro “Il Mostro” Renzi diventa Moby Dick per dei PM Achab

 

“Ho scritto questo libro per chi mi odia, non per chi mi vuole bene.” (p. 185) E’ forse in questa dichiarazione di Matteo Renzi verso la fine di Il Mostro. Inchieste, scandali e dossier. Come provano a distruggerti l’immagine (Piemme, 2022, p. 188, € 17,90) la chiave di uno dei libri più eccentrici e spaventosi che abbia mai letto, scritto da un uomo politico.

Un lungo elenco di fatti, di nomi e cognomi

A che genere appartiene questo volume, infatti? Potremmo dire un memoriale autobiografico di un senatore di Firenze. Ma qui non c’è solo il racconto dal punto di vista dell’autore. Qui c’è un lungo elenco di fatti, di citazioni di atti attribuiti a dei magistrati e dei giornalisti, a oggi non contestati da nessuna delle persone che vengono citate per nome e cognome. Un elenco sobrio che, al termine, fa esclamare anche al più cinico e avvezzo dei recensori “Mamma mia, mamma mia, mamma mia.” Il motivo per cui questo saggio di Matteo Renzi è un libro in vetta alle classifiche dei saggi è che racconta una storia che sembra fantasy. Sembra impossibile. E quindi, è avvincente come un giallo. Una perfetta lettura da ombrellone.

La storia di un’ossessione

Viene fuori la storia di un’ossessione, quella di alcuni magistrati di Firenze – nello specifico i pubblici ministeri Giuseppe Creazzo, Antonino Nastasi soprannominato “nitidamente” e Luca Turco – nei confronti di un membro del Parlamento (e alcuni suoi amici e parenti) contro il quale vengono istruite una serie di indagini che sembrano non rispettare (prima o poi ci sarà un giudice a Genova che deciderà di investigare sulla cosa?) la legge sul segreto bancario, la legge sulla privacy, e la Costituzione. Il tutto propagandato da parte di una serie di talk show (su tutti, Otto e mezzo su La7) e di “giornali” che hanno dato il massimo spazio alle accuse omettendo in modo sistematico le cinque censure della Corte di Cassazione contro i PM accusatori.

Renzi come Moby Dick

Ecco dunque che Renzi diventa come Moby Dick per alcuni PM Achab, e la corrente di Magistratura Democratica prende la fisionomia del vessillo Pequod. Quali sono le colpe di Renzi Matteo? Aver fatto o provato a fare alcune riforme invise alla magistratura e alla Banca d’Italia. Si parte dal tentativo di nomina come ministro Guardasigilli nel governo Renzi del magistrato Nicola Gratteri. Il procuratore anti-ndrangheta della Repubblica di Catanzaro non era (e non è) gradito alle correnti – e soprattutto a Magistratura Democratica – in quanto uomo indipendente e determinato a riformare il CSM e la giustizia italiana in un senso ben preciso: «Gratteri aveva idee rivoluzionarie: avremmo lavorato per il sorteggio al Csm, così da spezzare il meccanismo delle correnti. Avremmo rivoluzionato la responsabilità del magistrato che sbaglia» (p. 34). Si oppone a Gratteri il cosiddetto “sistema” della magistratura, come spiega colui che ne fu uno dei capi in quegli anni, Luca Palamara.

La versione di Palamara: quando il “sistema” si fa eversore

Lo dichiara nell’altro libro scandalo da leggere di questi ultimi due anni, scritto con Alessandro Sallusti: Il sistema. Potere, politica, affari. Storia segreta della magistratura italiana (Rizzoli, 2021, 288pp., €18,05). Lì Palamara chiede retoricamente al suo intervistatore: “Poteva un «Sistema» che aveva combattuto e vinto la guerra con Berlusconi e le sue armate farsi mettere i piedi in testa da Matteo Renzi e da un collega [Nicola Gratteri, nda], molto bravo ma anche molto autonomo, fuori dalle correnti e per di più intenzionato a fare rivoluzioni?” (p. 108 del PDF).

Dunque furono fatte pressioni da molti magistrati potenti (fra gli altri, sembra, anche Giuseppe Pignatone, all’epoca procuratore di Roma e attuale presidente del tribunale del Vaticano) sull’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affinché Gratteri non facesse parte della compagine del governo Renzi. Palamara chiarisce il punto politico della questione: “[…] Renzi con quella mossa sfida il sistema delle correnti e dei grandi procuratori, che da sempre vengono consultati preventivamente dal premier incaricato o da chi per lui per dare il gradimento a un nuovo ministro della Giustizia. Dopo aver asfaltato, o almeno pensato di aver asfaltato il Pd, Renzi prova a fare altrettanto con la magistratura: qui ora comando io. E no, non funziona così.” (p. 109). Palamara prosegue poi ricordando che Magistratura Democratica aveva come riferimento “il vecchio apparato comunista e post-comunista che lui stava rottamando. Parliamo di gente che al Partito comunista prima e al PD poi la linea la dettava, non la subiva”. (p. 109).

Quel che “il sistema” non consente a Renzi

Se per il “sistema” di quello che Palamara chiama “il massimalismo giustizialista” (p. 110) il tentativo di nominare Gratteri è già lesa maestà, il Rubicone sarà rappresentato dalla riforma che pone un tetto a 240.000€ annui agli stipendi del pubblico impiego (che tocca anche i magistrati, ovviamente) e il contestuale taglio delle ferie dei magistrati, da 45 a 30 giorni feriali annui. Questa riforma è malissimo digerita dalla corporazione, soprattutto rappresentata dalle stizzite parole di Piercamillo Davigo: “Perché il nostro datore di lavoro deve tagliarci le ferie senza consultarci?” (p. 25 del libro di Renzi), cui si potrebbe rispondere “per via della suddivisione dei poteri prevista in Costituzione, che consente all’esecutivo e al legislativo di operare decisioni di questo tipo senza chiedere il permesso del giudiziario”.

Il “cordone sanitario”

Ecco dunque che Renzi-Moby Dick viene arpionato in molti modi diversi: colpendogli la famiglia, con provvedimenti di incarcerazione preventiva dei genitori settantenni che saranno subito cancellati dal Tribunale del riesame. E’ forse una delle componenti del “cordone sanitario” da mettergli attorno, come scrisse il magistrato Nello Rossi sulla rivista di Magistratura Democratica Questione Giustizia?

Poi sostenendo che la fondazione Open fosse in realtà una corrente di partito del PD, cosa che avrebbe comportato l’uso di un modulo differente per poter accettare le donazioni degli italiani che la finanziarono. Renzi sottolinea come la Corte di Cassazione abbia annullato per ben cinque volte le decisioni dei PM di Firenze su questa indagine. “Cinque volte solo nelle indagini preliminari. Ci rendiamo conto?” (p. 17), cosa che fa presupporre che l’inchiesta su Open terminerà, quando terminerà, con un’assoluzione piena dell’imputato.

Il ruolo da grancassa diffamatrice di certa “stampa”

E ancora: il sequestro dei telefonini e dei computer di vari amici di Renzi, poi regolarmente annullati dalla Corte di Cassazione. La pubblicazione sul Fatto Quotidiano, diretta dal diffamatore seriale Marco Travaglio, in spregio alle leggi sul segreto bancario e sulla privacy, dei movimenti bancari del conto corrente privato di Renzi, alla ricerca di una voce di spesa in qualche modo imbarazzante: una prestazione medica pericolosa o di cui vergognarsi, un bonifico in più fatto a un figlio rispetto a un altro, l’acquisto di qualcosa di scabroso: tutte operazioni che, nonostante il fine setaccio, non vengono trovate.

Si arriva alla fine del volume Il Mostro nella consapevolezza che se l’autore si fosse chiamato Mario Rossi e non Matteo Renzi, questo libro sarebbe stato una bomba. L’ultimo capitolo, intitolato “Riassunto” ripropone i 20 fatti eclatanti che nessuno dei citati in questo libro-denuncia ha finora potuto o voluto contestare. Davvero uno scandalo.