È notizia di questi giorni che dalle parti di Via Arenula sarebbe allo studio un concreto provvedimento per rivedere il già tristemente noto decreto Severino che, sotto il governo Monti, revisionò la geografia giudiziaria sopprimendo, con quella che l’allora Ministro Paola Severino e il Presidente del Consiglio Mario Monti definirono una svolta epocale, 37 tribunali e 220 sezioni distaccate, uffici giudiziari impropriamente definiti minori.
Sulla genesi e la natura di quella triste operazione di “polizia giurisdizionale” mi sono già espresso proprio da queste colonne il 31 marzo scorso, e quindi non mi dilungo oltre.
Quello che qui preme sottolineare invece è il diverso spirito, che sembra animare Nordio e il sottosegretario, pare proprio con delega alla materia, Andrea Del Mastro Delle Vedove, volto a interpretare la giustizia come servizio e non più come azienda e quindi, depurata da tutte le menate riguardo a produttività per numero di cause, economicità degli uffici, e compagnia cantante, riordinarla nel senso di maggiore vicinanza al cittadino.
Sembra di fare un bellissimo balzo indietro e di essere tornati ai tempi della Costituente quando fu scritto l’art.5 della Costituzione che recita che la Repubblica “attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo”. Altri tempi. Una norma tra l’altro voluta proprio dalla componente socialista della Assemblea.
Ovviamente a queste indiscrezioni che hanno fatto il giro dell’Italia, specie nei territori che subirono il provvedimento di soppressione, si sono scatenate le reazioni, molte positive, ma anche diverse negative.
Quest’ultime, tutte di matrice giustizialista, si sono equamente divise tra alcuni giornali, che sono di fatto organi ufficiali del partito delle toghe, e personaggi provenienti proprio dal mondo dei giudici.
Del resto è stato appena in primavera che giudici come Edmondo Bruti Liberati o Nicola Gratteri tuonarono contro gli spifferi di riapertura dei tribunali sostenendo non solo che non dovevano essere riaperti ma addirittura che ne dovevano venire soppressi altri.
Vien da ridere a sentire queste parole proprio da chi pensa che tutto, in una nazione, debba fondarsi sulla giustizia e poi propugna la soppressione dei tribunali riducendo i presidi di legalità sul territorio.
Ma dietro queste parole c’è il disegno della magistratura che, coprendosi dietro l’accattivante concetto della “specializzazione”, vuole solo garantirsi di lavorare meno e più comodamente.
Il problema per loro è evitare di passare da un settore all’altro della nobile materia del diritto.
Insomma il problema è evitare che un solo giudice oggi faccia il Gip, domani i divorzi e dopodomani i pignoramenti immobiliari.
Questo cambio continuo di materie è, secondo loro, robaccia da avvocati e non una palestra ove cimentarsi in esperienze nuove ed allargare il proprio scibile giuridico. Non è una opportunità formativa ma piuttosto un faticoso fastidio a cui dare rimedio.
Ed è venuto fuori il concetto tutto particolare di efficienza legata ovviamente a quello di specializzazione. Si è pensato quindi che i tribunali ideali fossero quelli composti da un numero tale di giudici (oltre una trentina) da permettere a ognuno di essi di dedicarsi ad un pezzettino della scienza giuridica e pronunciare ed emettere sentenze con i container (tanto sarebbero state tutte le stesse: solo da cambiare, con il copia/incolla, i nomi delle parti) e fare quello per tutta la vita.
Insomma la famosa riforma Severino, figlia della legge Nitto Palma, ministro del Governo Berlusconi non fu altro che un atto di ossequio alle esigenze, forse è meglio dire i capricci, dei magistrati e affatto un intervento per migliorare l’efficienza della giustizia.
E fa niente se una tale riforma ha creato solo delle megalopoli giudiziarie che hanno investito il cittadino con una agilità elefantiaca, fa niente se sono state create delle cattedrali nel deserto distanti mille miglia dal paese reale, fa niente se un povero sventurato, per muoversi all’interno di tali alveari di giudici e cancellieri, ha avuto bisogno del navigatore e del GPS, fa niente se interi territori della penisola sono rimasti sguarniti di presidi giudiziari ancorché fossero all’interno, o adiacenti, a zone ad alta densità criminale, fa niente se aree che ospitano carceri importanti e ad alta sicurezza, si sono trovate all’improvviso sguarnite di uffici giudiziari esponendosi ai rischi di lunghi e pericolosi trasferimenti per permettere a temutissimi detenuti di partecipare alle udienze, fa niente se i cittadini sono stati costretti a percorrere centinaia di chilometri, magari in inverno pure sotto la neve, per andare a ritirare un certificato penale o a rinunciare a una eredità.
Fa niente infine che tutto ciò è un crogiuolo di tali e tante illogicità da far restare basiti.
E in questa fiera dell’assurdo, attraverso la tecnocrazia operativa, rappresentata tutta da magistrati, distaccati ai posti chiavi e dirigenziali del Ministero di Giustizia dalle loro sedi e funzioni, i giudici si sono inseriti come un braccio armato di una setta segreta (sì proprio come il Priorato di Sion di Dan Brown) a fare gli interessi e i desiderata della loro corporazione.
E se tanto mi dà tanto dalle parti dell’ufficio di Nordio sarà guerra se davvero procederanno in quelle che sembrano essere le loro intenzioni.
E poi c’è un’ultima considerazione da fare che resta d’attualità ancora oggi: alcuni studi, come quello condotto da un noto giornale finanziario, destinati a monitorare la efficacia del provvedimento, bocciarono la riforma stimando tra quelli più efficienti d’Italia proprio quei tribunali la cui soppressione era in corso, mentre tra i più inefficienti vi erano quelli che avevano accorpato i territori dei soppressi.
Quindi anche sotto il profilo dell’efficienza quel decreto adottato dalla Severino e voluto dai giudici si è rivelato fallimentare.
La chiamano “giustizia di prossimità”, i giudici, con toni sprezzanti, per cercare di sminuirne la portata e demolirne il senso e il richiamo all’azzeccagarbugli di manzoniana memoria è evidente.
Ma non è vero, è giustizia vicina ai cittadini e ai territori, è giustizia funzionale e decongestionata, è giustizia accessibile e poco costosa.
È giustizia di civiltà.
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