“Soldi, soldi, soldi… sempre di più!” è questo il mood che da sempre va avanti in Italia ed in particolare sul tema sanità. Ma cosa succederebbe se scoprissimo che proprio in sanità in questo momento i soldi non sono tutto?
Chi vive gli ospedali, infatti, sa bene che in queste settimane la difficoltà più grande riguarda la mancanza di professionisti, non di denaro: medici, infermieri, tecnici, Oss sono praticamente esauriti. Il collo formativo del numero chiuso delle Università e la carenza di borse di specializzazione hanno generato un deficit di disponibilità di forza lavoro qualificata (e autorizzata a compiere specifiche mansioni all’interno delle strutture sanitarie). In questo modo, i calcoli che per anni hanno determinato quanti professionisti immettere nel mercato sono andati all’aria in seguito allo shock Covid. Ma c’è di più: studiando i numeri, scopriamo che sono anni che i professionisti scarseggiano e che in tanti hanno fatto finta di non vedere un problema reale.
A questo, si aggiunge una burocrazia vecchia, pesante e lenta nel percorso di reclutamento di unità lavorative oltre al mancato turnover dei pensionamenti. Così, oggi ci ritroviamo milioni di disoccupati chiusi in casa e carenza di professionisti sanitari disponibili a lavorare in ospedale da subito. Per anni ad un invecchiamento inesorabile della popolazione e quindi all’aumentare oggettivo della necessità di assistenza sono stati corrisposti tagli su tagli al personale e un’assenza totale di progettualità effettiva nel sistema formativo. E ciò è avvenuto con la scusa dell’elevato numero di dipendenti nel SSN, frutto del conteggio unitario tra personale sanitario e amministrativo (effettivamente più elevato delle medie dei grandi paesi occidentali). Ma non mancano solo medici, infermieri, tecnici e oss nei nostri ospedali, faticano a trovare spazio anche le nuove figure professionali necessarie ad un approccio medico moderno nella figura di informatici, chimici ed ingegneri biomedici. A questi deficit si aggiunge, poi, la carenza per limiti culturali delle figure organizzative sanitarie con l’illusione culturale, tutta italiana, che i gruppi di persone a lavoro si debbano autoregolamentare e autogestire.
Il paradosso della carenza di professionisti sanitari “disponibili” e i tantissimi disoccupati in circolazione è frutto di un fenomeno chiamato mismatch delle competenze. Il fenomeno, che ora riguarda la sanità, nell’immediato futuro riguarderà tanti altri settori, poiché è la vera emergenza di questo secolo.
A questo si aggiunge il fenomeno della mobilità dei sanitari. Spesso, infatti, per accedere alle facoltà sanitarie a numero chiuso molti si spostano per studiare e iniziano poi a lavorare lontano “da casa”. Così, la voglia di “tornare” ma, anche e soprattutto, la precarietà dei contratti portano a un walzer continuo nei gruppi di lavoro con un costo per formazione e inserimento, spesso ignorato, ma rilevante in termini economici e organizzativi.
Per tutte queste ragioni, occorrere intervenire aumentando l’immissione di professionisti nel mercato attraverso l’apertura delle università, ma l’emergenza è oggi e non possiamo permetterci di aspettare. Per questo, occorrono soluzioni d’emergenza con evidenti forzature a tutto quello che è stato concepito fino ad ora. Ovvia e scontata appare la necessità di intervenire per l’estinzione del precariato in sanità e un adeguamento dei compensi dei sanitari che non possono ritrovarsi a dover affrontare moli di lavoro e rischi enormi (per sé e per i pazienti) guadagnando quanto chi si ritrova in CIG. In via eccezionale, si potrebbe proporre un “salto di mansioni al livello superiore” nelle varie professionalità con buona pace dei manuali e del perbenismo. In questa fase chi sa fare deve essere valorizzato a prescindere dal titolo di studio. Uno scorrimento di assegnazione delle mansioni libererebbe l’accesso agli incarichi di base, permettendo di avere maggiori braccia disponibili in corsia.
Insomma, ad una sacrosanta richiesta di fondi, deve corrispondere una serie di interventi rivolti al tema della carenza di personale da parte delle istituzioni e dei governi regionali e nazionale. Potrebbe essere questo uno degli utilizzi più importanti dei fondi del Mes che, inspiegabilmente, non è ancora stato chiesto e ottenuto.
Sono di queste ore i bandi eccezionali di protezione civile e regioni del nord per reclutare al volo personale e, francamente, non si capisce il perché ciò non sia avvenuto la scorsa estate, a dimostrazione che il tema dei fondi non è tutto. Occorre consapevolezza delle criticità, voglia di fornire soluzioni normative tempestive e progettualità delle situazioni.
Sperando non sia troppo tardi.
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