Tommaso Verdini, il figlio dell’ex senatore di Forza Italia Denis Verdini, è un lobbista? No, eppure lo hanno definito tale. Tiziano Renzi, il padre di Matteo, era un lobbista? No, eppure anche lui è stato definito in questo modo. Non sono i soli. La stessa etichetta è stata affibbiata ad Antonio Panzieri, Gianluca Gemelli, Fabrizio Centofanti, Salvatore Buzzi, Luigi Bisignani e addirittura a Davide Casaleggio. I media tirano fuori l’etichetta “lobbista” con grande facilità.
Ma perché vengono definite lobbiste persone che fanno altri mestieri? Posso affermare, senza timore di essere smentita, che la colpa è di noi lobbisti, quelli veri. Non ci siamo infatti mai presi la briga di spiegare come funziona il nostro lavoro. Ho iniziato a svolgere questa professione negli anni ’90 e, da allora, per certi aspetti non è cambiato molto. Oggi, come a quei tempi, è difficile trovare un lobbista che riporti questa dicitura sul suo biglietto da visita. La parola “lobbying” viene sostituita con espressioni vaghe come “public affairs” o “relazioni istituzionali”. Ma vi assicuro che sempre di lobbying si tratta.
Questa vaghezza è causa di una gran confusione. Porta infatti a pensare che i lobbisti siano in grado di fornire consulenza per le gare d’appalto e di brigare nell’ombra per farle addirittura vincere ai propri committenti. Non è così. Porta anche a pensare che i lobbisti siano possessori di agende fitte di contatti telefonici di politici e gente di potere e che il loro lavoro sia fissare appuntamenti con aziende desiderose di ottenere favori. In stile “A Fra’, che te serve”. Non facciamo neanche questo.
Il nostro lavoro è più noioso e tecnico. Ci impegniamo per far conoscere gli interessi delle aziende o di specifici settori produttivi ai decisori pubblici, in modo che possano scrivere norme, cioè leggi e regolamenti, che tengano in considerazione le complessità di quei settori. Tutto qui.
E se i decisori pubblici non prendono in considerazione le nostre proposte? In quel caso non possiamo fare assolutamente nulla. Perché non c’è niente da fare.
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