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Razza poltrona molto sorniona

Giornalista e Docente
Razza poltrona molto sorniona

Con quel suo “continui, continui… all’intervistato, Fabrizio Roncone, firma del Corriere della Sera ed osservatore implacabile della scena ma soprattutto dei retroscena politici italiani, sta avvertendo il lettore che al grottesco e all’ineffabile appena letto non c’è fine, cosicché  il brutto (quasi mai bello, mannaggia) deve ancora venire. Questo perchè alla glaciale e disorientante inquietudine dei tempi attuali mai avremmo immaginato si accompagnasse una classe politica  spaesata, inadeguata, improbabile e spesso inconcludente. Partiamo col fatto che più intollerabile di ciò che accade quotidianamente nei palazzi del potere è quel tentativo – di alcuni personaggi – ad assumere un atteggiamento piuttosto paraculo, di certuni che in qualche modo non c’erano  oppure se c’erano dormivano, neanche fosse un dopolavoro qualunque quello di amministrare un paese e spendersi per la cosa pubblica e il bene comune.

Il diario-saggio di Fabrizio Roncone  – (che mi permetto di definire moleskine molesta) –  dal titolo Razza Poltrona edito per Solferino  ci fa entrare in quella in quella  (s)comfort zone che è la cronaca politica.

La fatica dell’autore è stata anzitutto quella di unire dei puntini (i protagonisti, chi governa e chi si oppone, chi trama e chi subisce, chi entra ed esce dalla buvette e poi torna in aula per poi ritornare alla buvette …) ma in questo caso non sto pensando al giochino facile facile della settimana enigmistica, anzi. Siamo di fronte ad un gigantesco risiko di detti e non detti, di manovre e giravolte, di chiacchiera dei tanti e del lavoro di pochi,  mentre il paese è sull’orlo di una crisi sistemica urgente e meriterebbe un sussulto di serietà. 

Disfattismo? Ma ovviamente no, sono gli eventi a parlare per noi. La pandemia è l’ultimo tornante (globale ed epocale) della storia contemporanea che però in italia è come l’esondazione devastante di un fiume interrato ben prima di arrivare ed intasare le nostre città: questioni mai risolte, veti incrociati, riforme mancate, mortificazione del merito, esaltazione dell’incompetenza, diseducazione alla cittadinanza attiva e responsabile oltreché misere rendite di posizioni hanno alimentato le acque della rabbia e della frustrazione ormai trasformatesi in disincanto collettivo, navigazione a vista, accidia e inerzia di un paese e dei suoi politici che  guardano l’iceberg ma non spostano la nave.

E il testimone Roncone – che possiede uno stile tutto suo  –  si è preso la briga di affrontare il non sense di questa crisi mostrandoci quanto la surrealtà del Palazzo sia in grado di surclassare la realtà quando quest’ultima a suo tempo avesse superato la fantasia. Ne traiamo un libro duro, implacabile nella critica ai protagonisti ed ecumenico nel giudizio, all’interno del quale Fabrizio Roncone anzitutto registra quanto visto e sentito senza tesi precostituite e teoremi predefiniti offrendoci il suo ricordo chiaro e netto di colpevoli e vittime, di sorrisi sornioni e di volti scavati dall’insonnia a giustificare geometrie assurde pur di aggrapparsi al potere.  

Trasversale e ben distribuita  la quota di responsabilità di tutte le forze attuali (cinquestelle, Pd, centrodestra, lega, FdI, tutti insomma)  incapaci di ristrutturarsi su solide basi programmatiche e di costruire un consenso “serio” con l’opinione pubblica promettendo briciole di presente senza orizzonti per il futuro.

Per questo il libro coinvolge nella crisi tutti i partiti, e si menzionano tutti non per fare del cerchiobottismo spicciolo.  E’ giunto il tempo, infatti,  di rifuggire dall’esegesi che divide un noi contro loro, utile solo per autoassolversi e ingraziarsi la propria piccola coscienza.  Occorre invece rendersi conto – con la franchezza della verità e prima che sia troppo tardi –  che è un paese intero a camminare con la foglia di fico dell’inadeguatezza dinanzi alle sfide globali e, di conseguenza, non abbiamo nei fatti una riserva ampia di statisti ma dobbiamo misurarci con una politica gassosa che ci offre quel che può. Il che, visti i risultati, è molto poco se pensiamo a ciò di cui abbiamo bisogno. 

Il libro possiede due registi apparentemente non distinguibili durante la lettura, ma alla fine sono rintracciabili con attenzione: il taccuino dell’autore si è limitato ad annotare gli eventi da un lato con anglosassone  fairness (il chi, il quando e il cosa senza aggiunte, nello svolgersi di un retroscena più incredibile dell’altro). E poi arrivano certe stilettate con l’aggiunta coraggiosa di certi aggettivi e avverbi prodotti dall’indignazione, quando certi giorni  non si può camminare nella pioggia tra goccia e goccia ed essere neutri. Il neutro – penso io –  è solo una qualità dello shampoo.  

Le pagine di questo percorso sono ricche di suggestioni ma la critica più feroce di Roncone – a mio avviso –  è nei confronti della disinvoltura da parte dei protagonisti a considerare, per dirla con categorie filosofiche,  la coerenza come un accidente anziché la sostanza della politica, il suo cuore.  Ed è a quel punto che l’autore fa emergere la sua spietata critica senza tanta melina, quando alle parole dei leader (presunti o veri)  non sono stati conseguenti i fatti, ai proclama le determinazioni necessarie. Ne emerge così una politica delle vanità e delle ipocrisie, che attualizza quel passo sapienziale rivolto allo stolto la cui bocca è untuosa come il burro ma nel suo cuore ha la guerra/più fluide dell’olio sono le sue parole/ ma sono pugnali sguainati (Salmo 55,22)

Un’ultima annotazione: se si fossero calcolati  i tempi e gli opportunismi, l’autore (mi viene da pensare)  non sarebbe uscito con questo libro antipatico, un termine che offro nel senso del suo etimo ovvero diversamente sentimentale, contro-patetico rispetto al mainstream di questi giorni a guida Draghi nei quali  Tutto va ben, madama la marchesa

Al contrario, Fabrizio Roncone ci dice perchè siamo qui, dove ci ha condotto questa nostra razza poltrona, spesso sorniona e non di rado cialtrona.

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