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Sanremo contro le donne?

Avvocato e Presidente "Consiglio per la Parità di Genere"
Sanremo contro le donne?

Le vicende legate alla settimana di Sanremo sono ancora troppo calde per dirsi archiviate e così, decantati un po’ gli slanci di pancia, merita ritornare sulle ombre della presunta discriminazione di genere legata ai vincitori (tutti uomini) e, in particolare, la prima donna fra gli esclusi ovvero la cantante Giorgia.

Giorgia si è pronunciata in merito agli sfavori che accompagnano le donne definendoli “un problema da affrontare con l’educazione dei più piccoli” e i più si sono stretti a lei. Poche le voci fuori dal coro di chi ha rigettato questo vittimismo femminile ricordando che, ad esempio, l’anno scorso l’edizione settantaquattresima del Festival la vinse Angelina Mango, o addirittura in passato ci fu un podio tutto al femminile, e nessun uomo si sognò di additare il genere.

Parto dalla fine perché ci mancherebbe altro che in una società palesemente al maschile, quando vince una donna ci siano pure recriminazioni.

I numeri parlano chiaro e in 10 anni (dieci anni!) solo una donna ha vinto, solo tre sono arrivate seconde e solo due terze. E’ evidente dunque, che un problema c’è, esiste e perdura.

Non voglio entrare nel merito dei gusti musicali perché, come tali, non si opinano ma resto sui numeri dell’arte: le opere femminili vengono retribuite in media il 40% in meno rispetto a quelle maschili, le gallerie espongono il 70% lavori maschili, le cantautrici non arrivano al 20% del totale e neppure al 30% se solo interpreti. E di problema, senza mezzi termini, ne parla apertamente l’autorevole rivista Rolling Stone che, in un articolo evergreen del 2022, concentrandosi sulla musica, scrisse testualmente “Il problema, in effetti, non è qualitativo, ma strutturale: le artiste femmine non vendono semplicemente meno, sono meno, soprattutto quelle che riescono a mantenersi con la musica”.

Numeri, numeri e numeri. Sempre gli stessi da oltre un decennio e forse, a ben guardare, da oltre un ventennio.

Ma qui quello che stupisce non sono loro, bensì la sorpresa.

Perché tanta meraviglia per uno status consolidato, strutturale, generalmente condiviso e comunemente accettato? Giornalisti che si interrogano, cantanti che additano, soluzioni che vorrebbero sembrare inedite ma, signori, è questa una simulazione di massa o forse parliamo di qualcosa che perdura dalla notte dei tempi e di cui né la società, né la politica né le famiglie hanno la benchè minima intenzione di cambiare? (se non individualmente per qualche rara donna fortunata che può permettersi, portafoglio alla mano, la parità)

Sono brutti i tempi moderni perché nascondono i problemi di ieri con l’ipocrisia di oggi.

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