Pensiamo a una bilancia. Su un piatto c’è la salute, sull’altro l’economia. È l’immagine che quasi tutti i commentatori, durante questo lungo lockdown per l’epidemia da Covid-19, ci propongono.
Un’immagine sbagliata, ci ha spiegato poche sere fa, durante Otto e mezzo su La7, la divulgatrice scientifica Roberta Villa. Che ha invece fatto notare come sulla bilancia, da un lato, ci sia la salute e, dall’altro lato di nuovo, la salute. I problemi legati al lockdown sono anche i disturbi mentali che rischiano di esplodere, le diagnosi che sono ritardate a causa dell’emergenza, i disturbi che col passare del tempo peggiorano con l’isolamento.
Ma l’incapacità politica di governare l’emergenza senza una strategia né un’idea chiara sui tempi e sui modi in cui proveremo a uscirne, su quello che accadrà “dopo” aver chiuso tutto il chiudibile, è figlio di una cultura politica dell’irresponsabilità. Che, chiudendo tutto, sposta semplicemente il problema su chi sta più in basso, su chi è più debole. Per questo, l’impatto economico di questa crisi rischia (anche) di essere esplosivo proprio per il costo ecnomico della salute. Di nuovo la salute, che è su entrambi i piatti della bilancia.
Lo confermerebbero i ricercatori del King’s College di Londra che hanno realizzato uno studio, pubblicato sulla rivista The Lancet, il 26 febbraio scorso, dedicato agli impatti psicologici della quarantena su una comunità. Lo hanno fatto con quella che in termini accademici si chiama review: una “panoramica” della letteratura scientifica in materia di quarantena per trarre conclusioni applicabili alla pandemia da Covid-19.
In totale, i ricercatori hanno selezionato 24 studi su circa 3.166 pubblicazioni scientifiche esistenti, condotti in dieci Paesi diversi – tra cui Cina, Canada, Corea del Sud, Liberia e Senegal – e dedicati alle misure di quarantena messe in campo, dal 2003 in poi, per contrastare la diffusione di malattie come la Sars, l’Ebola o l’influenza pandemica H1N1.
E sebbene questi studi abbiano campioni non omogenei – quello più grande è di 6.200 persone, quello più piccolo 10 – e di alcuni non si sappia la durata dell’isolamento, alcune conclusioni utili possiamo trarle.
Nelle popolazioni analizzate dopo giorni di quarantena, “gli studi riportano in generale sintomi psicologici come disturbi emotivi, depressione, stress, disturbi dell’umore, irritabilità, insonnia e segnali di stress post-traumatico”, scrivono i ricercatori del King’s College.
“Le misure di quarantena intervengono in modo fortemente costrittivo e distorsivo su tempo, spazio e relazioni, elementi costitutivi del nostro stesso essere al mondo”, ha detto Antonio Esposito, ricercatore indipendente, esperto di esclusione sociale e storia della psichiatria, nel corso della diretta dedicata alla salute mentale di +Europa. “D’altro canto, se stiamo in qualche modo salvaguardando l’elemento relazionale, soprattutto grazie alle nuove tecnologie, è del tutto sacrificata la nostra socialità politica, che non è quella virtuale e necessita della corporeità. Inevitabilmente, quindi, queste misure hanno effetti sulla salute mentale di ciascuno di noi, effetti che in alcuni casi, come mostrano i ricercatori del King’s College, possono essere anche severi e reiterarsi nel tempo”.
Quasi tutti gli studi analizzati hanno riferito infatti di problemi psicologici come: disturbi emotivi, depressione, stress, umore basso, irritabilità, insonnia, disturbi da stress post-traumatico, rabbia, esaurimento nervoso per diversi mesi dopo la fine della quarantena.
Ad esempio, una ricerca condotta su medici e infermieri riporta come gli effetti a lungo termine della quarantena in seguito all’epidemia di SARS, tra gli operatori sanitari, si siano protratti fino a tre anni dopo. Abuso di alcol e, in generale, sintomi di dipendenza sono state le conseguenze direttamente associate alla pregressa condizione di isolamento.
Inoltre, molti operatori sanitari hanno avuto a lungo difficoltà a garantire un contatto diretto con i pazienti, assumendo comportamenti elusivi mai avuti prima di allora.
Aggiunge Esposito: “Preoccupano, soprattutto, le ricadute psichiche che queste costrizioni avranno sui più piccoli e sulle persone fragili, come chi, penso ad esempio ai ragazzi con autismo, ha dovuto bruscamente interrompere percorsi di riabilitazione o di reinserimento sociale, rischiando regressioni anche gravi. Sono situazioni molto difficili che coinvolgono anche le famiglie di queste persone”.
Secondo un altro studio compreso nella review, tra i principali fattori di stress dopo il periodo di quarantena c’è l’impoverimento che la quarantena – specie se protratta nel tempo – determina sempre come principale conseguenza socio-economica. Per molti mesi successivi alla fine dell’isolamento, le persone lamentano disturbi di ansia, soffrono l’insonnia e provano costantemente rabbia.
“Se, come suggeriscono i ricercatori”, sottolinea Antonio Esposito, “non è in discussione il lockdown per il contenimento del contagio, è però necessario che i decisori pubblici non solo mettano in campo politiche di sostegno e accompagnamento della sofferenza mentale che si sta determinando e si determinerà, ma, soprattutto, che agiscano con razionalità e responsabilità, anche prevedendo, con le dovute salvaguardie, eccezioni alle restrizioni per bambini e soggetti fragili, e adottando disposizioni e comportamenti chiari, trasparenti, comprensibili, non contraddittori”.
Un’ulteriore ricerca pubblicata nel 2017 e relativa all’epidemia di Ebola in Africa occidentale, scoppiata tra il 2014 e il 2016, sottolinea come la mancanza di chiarezza nella comunicazione da parte delle autorità sia una delle principali fonti di stress: “La durata della quarantena dovrebbe essere ragionevole: tanto più dura quanto più ha un costo anche in termini di salute, e soprattutto di salute mentale”. Ma “garantire alla comunità quante più informazioni possibile aiuta moltissimo: assicurare che i soggetti in quarantena abbiano una buona comprensione della malattia in questione e delle stesse ragioni della quarantena, diventa dunque prioritario”.
La trasparenza aiuterebbe, dunque, a rendere meno drammatiche le conseguenze dell’isolamento in termini di sofferenza psicologica: “l’adozione di un linguaggio, non solo politico e mediatico, ma anche medico e sanitario, sostanzialmente belligerante, ci ha catapultati in un contesto di ‘guerra permanente’, che è esso stesso foriero di ansia, panico, incattivimento sociale trasformatosi in una insopportabile ‘caccia agli untori’. Periodi come questo, che espongono tutti noi alle nostre fragilità, necessiterebbero invece di un alfabeto diverso, di parole semplici, capaci di accoglienza e di cura, chè le parole possono essere cura e, soprattutto, sono i primi mattoni con i quali si costruisce il futuro”.
Fonti:
1) https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(20)30460-8/fulltext
2) https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18790829?dopt=Abstract
3) https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26650630?dopt=Abstract
4) https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28192745?dopt=Abstract
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