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Specchiarsi nel dolore altrui: quei neuroni da cui nasce l’empatia

Giornalista freelance
Specchiarsi nel dolore altrui: quei neuroni da cui nasce l’empatia

Non è vero quello che cantava Fabrizio De Andrè, che “il dolore degli altri è un dolore a metà”: il dolore degli altri è, per lo più, anche il nostro. E tutto intero. Non perché si sia tutti buoni e altruisti ma per ragioni in prima battuta neuronali: i c.d. neuroni specchio (mirror neuron) – che si trovano in un’area del cervello che è la corteccia cingolata – si attivano sia quando si prova dolore sia quando si osserva il dolore altrui, innescando così quella che comunemente definiamo “empatia”. Non sempre e non in tutti, chiaro.

Nei loro esperimenti, i ricercatori hanno registrato l’attività cerebrale dei ratti cui venivano mostrati i loro simili mentre erano sottoposti a deboli scosse dolorose: la reazione di paura che portava a immobilizzare i ratti spettatori, nasceva dall’attivazione degli stessi neuroni della corteccia cingolata che si accendono quando gli animali provano dolore sulla propria pelle.

La cosa più affascinante – sottolineavano gli studiosi – è che tutto questo accade nella stessa regione del cervello, sia nei ratti che negli umani: certo, mentre negli animali i neuroni si limitano a “riflettere” l’azione osservata, negli uomini sono codificate azioni complesse, guidate da uno scopo, con il relativo significato “sociale”.

Ma il neonato che riconosce il sorriso del genitore e si muove di riflesso a quel sorriso, lo fa perché si attivano i corrispondenti neuroni specchio, ben prima di averne “appreso” il significato sociale.

È, dunque, “solo” una questione neuroscientifica? Certo che no.
In realtà le implicazioni dei neuroni specchio nel campo delle dottrine politiche sono del tutto evidenti perché in essi è impressa l’attitudine naturale dell’uomo alla socialità. Ci si potrebbe spingere fino ad affermare che il processo di imitazione che innesca il neurone specchio di una reazione emotiva, positiva o negativa, è un dato significativo anche a livello di responsabilità sociale, e non solo dal punto di vista neuroscientifico o psicologico.

Il grande economista e filosofo politico austriaco Friedrich von Hayek usò la bellissima immagine dei famosi sentieri di montagna: non sono stati deliberatamente “voluti” da nessuno; si sono formati nel tempo grazie alle tante, anonime persone, che attraversando boschi e prati e calpestando l’erba hanno, ciascuna, contribuito involontariamente a farli nascere.

Allo stesso modo tanti importanti processi sociali sono a “mano invisibile”: opere degli uomini, ma senza che ci sia stata alcuna deliberata volontà umana di crearli. Un argomento decisivo all’idea liberale che l’ordine spontaneo sortisca effetti “sociali” di gran lunga superiori all’ordine programmato centralisticamente e autoritariamente.

Lo esprimeva in modo più poetico, nel 1600, John Donne: “Nessun uomo è un’Isola, intero in se stesso. Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte della terra. Se una zolla viene portata da un’onda del mare, l’Europa ne è diminuita, come se un promontorio fosse stato al suo posto, o una magione amica, o la tua stessa casa. Ogni morte d’uomo mi diminuisce, perché io partecipo dell’umanità. E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te”.