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Spieghiamo ai laureati che un caffè con un buon contatto è meglio dell’invio compulsivo dei cv

Avvocato e comunicatore
Spieghiamo ai laureati che un caffè con un buon contatto è meglio dell’invio compulsivo dei cv

L’Italia è all’ultimo posto in UE per il tasso di assorbimento dei giovani neolaureati nel mondo del lavoro. La recente fotografia di Eurostat del nostro sistema Paese è impietosa, ma non sorprende. Nonostante le alte competenze maturate con diploma, laurea e specializzazione per gli under 35 trovare occupazione non è un gioco da ragazzi. Le ragioni sono molteplici e come sempre complesse, dipendono dal quadro macro-economico, dal mercato, dall’innovazione tecnologica ma è anche plausibile ipotizzare ragioni culturali ed un approccio strategico potenzialmente difettoso.

Entriamo nel concreto, e chiediamoci “cosa fanno oggi i neolaureati italiani per trovare lavoro?”. Mettendo da parte coloro che si cimentano nei concorsi pubblici o che decidono di portare avanti studi professionali e/o aziende di famiglia, senza troppe titubanze possiamo affermare che generalmente qualche settimana dopo la laurea (errore grossolano, bisogna muoversi in anticipo), ragazze e ragazzi cominciano ad inviare spasmodicamente via mail i loro CV per posizioni (non sempre) attinenti al loro corso di studi. Dopodiché alcuni di loro, in genere i più scrupolosi, cominciano a registrare profili ed esperienze accademiche/professionali su portali dedicati alla ricerca di lavoro e sui siti delle principali agenzie interinali: Manpower, Adecco, Randstad, Generazione Vincente solo per citarne alcune. Pur trattandosi di passaggi “dovuti” a volte queste attività non risultano sufficienti ma ciò non significa in alcun modo che se ne possa fare a meno. Al contrario i neolaureati devono registrarsi su tutti i portali di ricerca che abbiano valore aggiunto mettendo in conto che già questo esercizio è un lavoro costante che richiede impegno, tempo ed anche metodo. In questa fase diversificare i CV è fondamentale a livello strategico. Per ogni posizione a cui ci si candida occorre predisporre un CV differente, che metta in risalto i punti di forza del proprio background per quella specifica candidatura.

Un capitolo a parte è rappresentato da LinkedIn ed in genere dai social media. Tanti neolaureati cercano lavoro con le migliori intenzioni, ma spesso non sono attivi LinkedIn o peggio ancora hanno profili a dir poco scarni ed inadeguati. Su questa piattaforma non solo occorre “esserci”, ma bisogna saperci stare. A partire dalla foto profilo, che deve essere la più adatta possibile quindi professionale, di qualità, coerente con il proprio modo di essere, ma anche rassicurante. Il profilo LinkedIn deve anche essere completo in tutte le sezioni: il sommario, i dettagli delle attività svolte, i collegamenti a link o ipertesti, le competenze specifiche e soprattutto la conferma delle skill da parte di altri utenti. Ma non solo questo. Deve essere anche un profilo vivo e vivace, con dei contenuti ben scritti e adatti per formato e linguaggio al target della community. Sistemato il profilo LinkedIn, con i social siamo dunque a posto? Niente affatto. Primo spoiler: i recruiter fanno ricerche su tutti i profili social dei candidati. È dunque facile trarre delle conclusioni: il personal branding va curato in toto, prima di candidarsi per delle posizioni è buona norma fare una ricognizione su ciò che troviamo di noi nel web, comprese le piattaforme social per poi agire di conseguenza. Voi assumereste un candidato che ha un canale LinkedIn impeccabile ed un profilo Instagram deprecabile?

In ogni caso questa certosina compilazione di template digitali, di accortezze su portali e pagine social non rappresenta affatto un punto di arrivo, un traguardo con cui poter dire di avere la coscienza pulita qualora non si dovessero ottenere in tempi ragionevoli risultati apprezzabili. Al contrario, è solo il primo passo, una sorta di prerequisito per poter partire da zero. Da zero, non da cento.

Naturalmente i curricula variano, lapalissiano costatare che se sul CV si ha la possibilità di sfoggiare un MBA a Yale anche una mail di presentazione asettica potrebbe bastare per farci convocare ad un numero considerevole di colloqui. Per tutti “gli altri”, per tutti coloro che hanno buoni CV ma che non provengono da Stanford o Harvard è fondamentale non solo evitare mail massive e impersonali ma bisogna fare di più. Avere “fame”, invettiva, industriarsi. Ma come?

In primis analizzare il datore di lavoro. Studiarlo dettagliatamente. Chi ha svolto dei colloqui selezionando dei candidati per conto della propria azienda o del proprio ente di provenienza sa perfettamente quanto sia fastidioso trovarsi ad avere a che fare con dei candidati che non conoscono nulla dell’azienda, che non hanno studiato le sezioni del sito, che non si sono documentati sulle iniziative della stessa, che non hanno idea del board. Conoscere ad esempio l’organigramma di un’azienda per la quale si prova ad affrontare una selezione non è solo indice di accuratezza ma è soprattutto un vantaggio competitivo non da poco. Magari decisivo.

Una volta capito il core business e soprattutto compreso il “purpose” aziendale, alla voglia di fare ed alla fame di affermazione dovrà seguire l’iniziativa. Se da un lato è giusto attenersi al protocollo aziendale in merito al recruitment, rispettare dunque le tempistiche e le dinamiche interne dettate dall’azienda, occorre tuttavia anche tenere a mente che non è reato sponsorizzare la propria candidatura con convinzione (senza scadere nell’insistenza) con lettere motivazionali o con contatti diretti quando possibile. Non è reato cercare e ottenere buone referenze interne o esterne all’azienda per la quale ci stiamo per candidare. Anche questo approccio può far denotare la forte motivazione del candidato, non solo, potrebbe aiutare concretamente nel processo di selezione. Secondo spoiler: non tutte le posizioni lavorative appaiono sui radar. Brutto scoprirlo così “a freddo” è vero, ma ci sono delle job position che non sono mai apparse e mai appariranno su LinkedIn o sui portali. Facciamocene una ragione. Un esempio su tutti? Gli staff parlamentari. Quante volte vi è mai capitato di trovare su Ticonsiglio posizioni di Collaboratore parlamentare (da non confondere con Assistente parlamentare) o ufficio stampa del senatore X/Y? Quasi mai. In primis perché si tratta di incarichi di natura fiduciaria, ma anche perché le referenze sono fondamentali per questo tipo di figure, perché esistono altre dinamiche da conoscere e maneggiare oltre a quelle dei siti di annunci.

Arriviamo dunque al cuore della nostra riflessione: il focus che a questo punto ci deve interessare non è “il colloquio” ma “il contatto”. L’obiettivo è “il lavoro”, ma ancora prima “la relazione”. L’aspetto probabilmente più sottovalutato dai neolaureati abituati a mandare i CV da remoto e le candidature tramite Infojobs è proprio l’importanza di curare le relazioni e di incontrare le persone giuste, di chiedergli un parere o un aiuto, di invitarle per un caffè o ad un evento. Di conoscerle. La chiave è il confronto costante con manager, esperti di risorse umane, associazioni, studi professionali, media. Per “svoltare” per cambiare la propria vita e la propria carriera può essere sufficiente un singolo contatto di qualità, un’interazione andata a buon fine. Naturalmente per far questo è importante curare tutte le potenziali relazioni professionali nel migliore dei modi, creare e mantenere un network di qualità oltre che di quantità. La rete è importante come lo sono le competenze. È questo che bisognerebbe insegnare agli studenti.

Una volta fissati i colloqui grazie all’impegno dedicato alla nostra rete di contatti e dopo aver sfruttato al meglio le competenze accademiche ma soprattutto le soft skill, in sede di “colloquio” vero e proprio potremo far vedere di che pasta siamo fatti. Con la giusta attitudine, con la cura del dress code, con il CV e perché no con il “portfolio”, una cosa che pochi neolaureati preparano. È lunare costatare che tanti giovani non facciano vedere fisicamente ai loro potenziali datori di lavoro cosa sanno fare, cosa hanno già fatto. Istintivamente il portfolio è più roba da grafici che da chimici, ma non è detto che un chimico, un fisico, un avvocato, un receptionist, non possa realizzarne uno per fare colpo durante il colloquio, con un minimo di impegno e di creatività tutti possono regalare ad un potenziale datore di lavoro un po’ del proprio vissuto, del proprio sapere e saper fare.

E se fatto ciò ancora non fossimo riusciti a trovare lavoro?

Premettendo che la perseveranza è l’unica via, naturalmente non possiamo perseverare nell’errore. Dobbiamo interrogarci sui nostri obiettivi e sulla reale perseguibilità degli stessi. Dopodiché bisogna avere il coraggio di disintegrare uno dei più odiosi cliché che i neolaureati sono abituati ad affrontare in Italia: la formazione post-laurea. “Ti sei appena laureato ed ancora studi? Pensa a trovarti un lavoro”.

La cosa migliore che si possa fare per trovare lavoro (neolaureati o no) è investire sulla formazione. Dopo la laurea, così come dopo un licenziamento, un periodaccio, una brutta esperienza, la cosa più intelligente che si possa fare è continuare a studiare per rimettersi in gioco. Naturalmente con una nuova consapevolezza, con cognizione di causa, con un percorso formativo più evoluto rispetto a quello appena concluso o comunque rispetto alla laurea. La formazione post-laurea è una delle armi migliori su cui puntare per trovare lavoro, quindi senza troppe remore e fregandosene degli scetticismi altrui, ben vengano sempre corsi specialistici, magari con taglio più tecnico, corsi sul digitale, sull’intelligenza artificiale, ben vengano ora e sempre i master. Ai master sarebbe consigliabile aggiungere una vita sociale attiva: infatti, una delle cose più utili che si possa fare quando si cerca occupazione è partecipare ad eventi, iniziative, incontrare nuove realtà. Curare buone relazioni, creare occasioni di confronto, dedicarci al nostro personal branding è il primo lavoro che dobbiamo imparare a saper svolgere.

Il vantaggio in questo caso è che siamo noi stessi ad assumerci.

Voi non vi assumereste?