Libro bizzarro, questo Venerati maestri. Operetta immorale sugli intelligenti d’Italia (Mondadori, 207 pp., 16€) che recensisco appena a 16 anni dalla sua uscita, e purtroppo ad autore troppo prematuramente scomparso. Alla fine ti viene il sospetto di essere dinanzi a un “vorrei essere Fratelli d’Italia ma non posso”. Se la stima per il maestro Arbasino calca ogni singolo periodo di questo memoriale, quel che zavorra le pagine è il ricicciar fuori a ogni angolo i soliti quattro personaggi, che però spesso son personaggetti.
E’ allora è un Berselli soprattutto contro Bertolucci. Nel primo capitolo è il regista più citato, più smucinato, più criticato, più sminuito. A Berselli l’ideologia macchiettistica di Bertolucci proprio non garba punto. Arbasino non ce ne voglia, ma il “messaggio” non postale di questo libro è che non ci sono più “venerabili maestri” e anche le “belle promesse” scarseggiano. Si apre un panorama ampio e varigato di “soliti stronzi” che Berselli snocciola in un mare di citazioni più o meno apocrife, portandoci un po’ per mano e un po’ per il culo a conoscere, commentare, sottolineare, schernire e apprezzare, a seconda di chi ha detto cosa.
Il punto dolente di questo libro è che Berselli, come dicevo all’inizio, alla lunga si cita addosso, riciclando sempre i soliti nomi e le solite frasi, quasi che questi capitoli fossero stati scritti per periodi e pubblicazioni diverse, e non per comporre un unico libro. Al dunque, Berselli cita e ri-cita soprattutto l’intellighenzia progressista e di sinistra dell’Espresso e di Repubblica, e pare davvero un libro scritto e pensato nei primi anni Novanta, mentre porta la data del 2006. Il libro si colloca così in un limbo, dove l’esponente massimo della cultura risulta essere nannimoretti e non il fratello Franco, nella evidente convinzione che la popolarità sia un (o il?) metro della cultura.
Forse le parti più gustose sono invece quelle del Berselli correttore di bozze su su fino a direttore editoriale de “Il Mulino” ultra-prestigiosa e tanto accademica casa editrice felsinea in mano alla sapienza del papa liberale Matteucci, che si misurava ovviamente sul metro Einaudi e Adelphi. Ecco allora che gli aneddoti qui si fanno più frizzantini e cicalecci, e i pettegolezzi di Giulio Einaudi su “Asor Rosé” e similari riempiono pagine ben scritte e molto divertite nei confronti di quella sinistra intellettual-onanista che si fa rappresentare dai bei nomi che tutti conosciamo, da nannimoretti a Bertolucci, passando per Guccini, De André e, ovviamente, il tanto, tanto mitteleuropeo Claudio Magris. Intendiamoci, la penna di Berselli è fine, il vocabolario è vasto, alcuni aneddoti buffi e divertenti (soprattutto divertiti), ma la compiacenza sbava queste pagine come una melassa appiccicosa, passate le prima 150 pagine.
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