Cresce inarrestabile il dibattito sui test per diagnosticare il coronavirus e in particolare sui test sierologici. Ma attenzione: proprio questi ultimi rischiano di essere una grande illusione più che la soluzione di questa crisi. Soprattutto rischia di essere fuorviante il concetto secondo cui sarebbero la strada per ottenere la famigerata “patente di immunità”. Niente di più sbagliato e cerco di spiegare perché.
Della differenza tra test tampone e sierologici ho parlato qui (link articolo precedente) ma ora entro più in dettaglio.
Cosa sono i test sierologici? Si tratta di test effettuati attraverso un’analisi sul sangue del paziente e che cercano al suo interno gli anticorpi che il paziente stesso avrebbe generato in risposta all’eventuale suo contatto con il virus. Mettono in luce, quindi, il contatto con il virus in maniera indiretta. Vengono analizzati due tipi di anticorpi chiamati IgM (immunoglobuline M) e IgG (immunoglobuline G). Nella maggior parte dei casi, ma questo non è ancora del tutto dimostrato, gli anticorpi IgM appaiono per primi ma sono fortemente aspecifici e tendono a scomparire dopo l’eliminazione del virus dall’organismo. Il secondo tipo, invece, necessita di più tempo per formarsi ma è più specifico e tende a rimanere nell’individuo.
Di più: i test sierologici possono essere di due tipi. Quelli “veloci” sono chiamati anche “point-of-care” perché possono essere effettuati in qualsiasi luogo per la semplicità di esecuzione e rapidità nel fornire un risultato (sono semplici cassettine in cui si fa cadere la goccia di sangue e dopo circa 15 minuti compaiono le bande colorate degli anticorpi). Esistono poi test sierologici (in ELISA, chemiluminescenza..) che possono essere eseguiti solo in laboratorio e se da un lato sono più affidabili, dall’altro richiedono più tempo. Sono questi quelli in fase di sperimentazione più avanzata, e una volta perfezionati, produrranno un dato quantitativo.
Riassumendo. I tamponi ci dicono se abbiamo il virus nell’organismo, i test sierologici ci dicono se abbiamo avuto contatti col virus.
Esistono già diverse aziende che producono test sierologici con caratteristiche negative o positive proprie dovute alla diversità dei processi di produzione industriale che li generano. Proprio la differenza di “qualità” tra kit di diverse case farmaceutiche è uno dei primi elementi critici.
Quindi occorre stabilire, fra i molti test in commercio (già oltre 120 ditte diverse si sono messe a produrre questi kit) quali sono davvero affidabili. Per determinare questo occorre sperimentarli.
Un test sierologico si valuta rispetto ad altri e, in generale, in base a sensibilità (cioè con pochi falsi negativi) e specificità (pochi falsi positivi).
A questi “limiti di produzione” si aggiunge un grosso limite “naturale”. Attraverso lo studio su campioni biologici prelevati ai pazienti Covid-19 positivi al momento del ricovero, si è potuto osservare che la risposta anticorpale richiede in genere dai 7 ai 10 giorni a partire dal momento dell’infezione. In questo lasso di tempo, dunque, l’individuo risulta negativo ma può infettare altri individui.
Principi di Immunità. Immune, in biologia, significa “resistente a una malattia infettiva in quanto dotato di anticorpi specifici contro l’agente infettante”. Quindi per essere considerati soggetti immuni occorrono due condizioni correlate: avere anticorpi specifici che riconoscono il virus e, in seconda battuta, che essi siano efficaci nel renderlo inoffensivo.
Avere solo specifici anticorpi, infatti, non serve. Devono avere l’effetto di fermare il virus e questa non è una capacità scontata. Spesso, infatti, in tante malattie riscontriamo anticorpi utili per indentificare, ma, non capaci di famare il virus. Ci sono, infatti, virus come l’epatite C, per cui l’organismo sviluppa anticorpi che sono utili a fini diagnostici (infatti dosati nel sangue possono dire se un individuo è venuto in contatto con l’epatite C), ma che non sono capaci di impedire al virus di sviluppare la malattia e quindi non forniscono immunità.
Per confermare che gli anticorpi fabbricati dal nostro sistema immunitario riescano a neutralizzare il virus Sars-Cov-2 serviranno altri test di laboratorio che si stanno effettuando in queste settimane. Dopo queste verifiche sarà permesso stabilire che questi anticorpi permettano ad una persona di non essere più colpita da Sars-Cov-2 ma soprattutto, ed è questo l’aspetto più importante, che la persona non sia più fonte di contagio.
A queste criticità si aggiunge anche un’altra riflessione che porta ad una domanda ancora aperta: quanto dura l’eventuale efficacia “neutralizzante” di questi anticorpi? Siamo di fronte ad altra incognita in fase di studio.
Non bisogna dimenticare, inoltre, il problema di natura tecnica legato alla limitata quantità di laboratori e dunque alle limitate “capacità” di eseguire migliaia di test rispetto ad un’esigenza per l’intera popolazione che oscilla su milioni di individui (a cui spesso vanno effettuati più test).
Cos’è la patente di immunità? La patente di immunità è un certificato sanitario che determina se una persona ha sviluppato gli anticorpi protettivi contro il Covid 19 e non è più infettante. Da quanto scritto sopra pare chiaro che, ad oggi, non è possibile rilasciare un documento del genere. Nessuno infatti può attestare un “principio di immunità” perché non ci sono evidenze scientifiche nè che gli anticorpi AntiCovid 19 siano protettivi per l’individuo che li possiede, nè che il soggetto che possiede possedendo questi anticorpi non sia più infettante. Anzi parlarne ora può diventare addirittura ingannevole, poiché, come sottolineato da più parti, eventuali patentini potrebbero generare comportamenti pericolosi per tutti.
In conclusione. L’analisi di tamponi e i test sierologici ha sicuramente un importante valore dal punto di vista epidemiologico per avere un’idea chiara di quanto il virus si sia diffuso tra la popolazione. Attraverso un uso appropriato di questi test possiamo capire se siamo in presenza di un soggetto con un’infezione in corso e si può capire se soggetti asintomatici siano guariti o se siano ancora fonte di contagio. Insomma i test diagnostici forniscono giuste risposte a domande corrette, ma non producono, né garantiscono nessuna forma di “patente di immunità”.
È molto rischioso attribuire ai test sierologici un ruolo decisivo per evitare una nuova ondata di contagi che potrà essere scongiurata realisticamente solo dalla scoperta del vaccino.
In attesa del quale non resta che adottare con costanza le misure di comportamento adatte alla situazione: igiene e distanziamento sociale (uso delle mascherine).
Purtroppo mi permetto di segnalare, con grande rammarico, la mancanza del tema dell’educazione/informazione proprio sui temi di igiene sanitaria e di comportamento, con adeguati piani di formazione per bambini, studenti, lavoratori, pensionati.
E’ verosimile che ci saranno nei prossimi giorni tanti nuovi casi legati alle graduali riaperture, ma tutti ci auguriamo che adesso ci sia maggiore preparazione a gestire la situazione dal punto di vista soprattutto dell’assistenza sanitaria.
In tutto questo, la tempistica che segue la fase dell’epidemia è fondamentale, cosi come il contesto di cui si parla. Abbiamo comprato tempo a un prezzo altissimo, nei prossimi giorni capiremo se siamo stati capaci di investirlo bene. Ma in primis bisogna fermare il paradigma basato sul tema dei test a cui non possiamo chiedere nessuna patente di Immunità.
Al contrario: è necessario comportarci ancora a lungo come se fossimo tutti potenziali untori del prossimo.
Spiace deludere chi vive con l’idea dell’esistenza della bacchetta magica per risolvere i problemi. Del resto, se la politica ha bisogno di tempo e competenza, alla scienza occorrono anche prove e controprove. Attualmente ci sono ancora dei limiti e occorre riconoscerli per considerarli opportunamente nelle analisi e nei piani che si fanno, altrimenti si corre il grosso rischio di non fare salti in avanti ma nel vuoto. E stavolta il paracadute potrebbe non aprirsi.
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