Una settimana fa ho visto con un’amica The quiet girl. Il gaelico sottotitolato in italiano non ci ha scoraggiato, per fortuna: al contrario, questa storia che si svolge nella profonda campagna irlandese ci ha svelato un piccolo gioiello, prezioso e lucente.
Come il colore degli occhi spalancati sul mondo di Cait, la giovane protagonista del film diretto da Colm Bairéad. Si tratta della bravissima Catherine Clinch, per la prima volta davanti a una camera da presa. E Bairéad, autore e regista alle prese con il suo primo lungometraggio, riesce in un’impresa non da poco: condurre per mano il pubblico in quel “luogo” della memoria che è l’infanzia, quando il mondo era un posto nuovo e c’erano ancora molte cose da scoprire.
Il film è ambientato nell’Irlanda rurale: qui, vivono Cait e la sua numerosa famiglia di contadini, impoveriti e trascurati. Nessun accudimento per questa bimba di 9 anni, taciturna e chiusa nel proprio mondo interiore: no, non intendo solo l’assenza di gesti di affetto, una carezza, un buffetto sulla guancia, un bacio sulla fronte, ma della cura – quella istintiva e quotidiana – che ciascun genitore in fondo dispensa per una sorta di automatismo.
L’abilità del regista è di riuscire a farci calare nei miseri panni di questa ragazzina abbandonata a se stessa, immersa nel proprio mondo perché quello circostante è troppo duro. Così, proviamo una pena profonda per il disamore che la piccola sperimenta – in silenzio – giorno dopo giorno, e ci sentiamo umiliati per lei, dopo ogni risveglio, la mattina, nel trovare le lenzuola bagnate per la minzione notturna. Sentiamo dolore fisico quando le sue manine – strette in un pugno sulle gambe nude e sporche – tremano ansiose e impaurite.
E allo stesso tempo, ci sentiamo sollevati e più leggeri, ogni volta che Cait sprofonda nell’erba alta della campagna circostante, che pare farle dimenticare, anche se per poco, l’ostilità e il cinismo di casa sua.
In un’escalation di disattenzione e incuria, Cait viene spedita, a un certo punto, da una coppia di lontani parenti della madre, incinta dell’ennesimo fratellino, per i mesi estivi, in modo che ci sia una bocca in meno da sfamare.
In quest’altra casa, gradualmente, accade il miracolo: Cait sperimenterà per la prima volta in vita sua, cosa siano la cura, le attenzioni benevole e l’affetto incondizionato. E quando la “zia” la immerge nell’acqua profumata della vasca da bagno, le pettina i lunghi capelli con dedizione e dolcezza, assistiamo a una vera trasformazione. La piccola rinasce: smette di fare la pipì a letto, inizia a guardare il mondo, fuori di sé, con uno sguardo limpido e placido e non più insicuro e indifeso.
Cait trova così la sua vera famiglia: l’unica da cui si sia sentita veramente accudita e rispettata. Anche qui: nulla è facile e ci sono dolori da elaborare e misteri da sciogliere, ma la vita sembra darle una seconda possibilità, quella da cui potrà, un giorno, spiccare il volo. Il ritorno a casa è straziante ma una speranza si è oramai accesa: come quando non è più buio e le inquietudini si diradano con la luce di un nuovo giorno.
The quiet girl – nelle sale dal 16 febbraio – è tratto dal racconto Foster di Claire Keegan ed è candidato agli Oscar come migliore pellicola internazionale.
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