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Thierry Cretin: “La giustizia italiana agli occhi di un Pm francese”

Thierry Cretin: “La giustizia italiana agli occhi di un Pm francese”

Thierry Cretin è stato un magistrato, che in Italia si sarebbe chiamato “d’assalto”, della Repubblica Francese.  Autore di un libro sulle mafie, tradotto in diverse lingue, è stato Procuratore della Repubblica di Lione, ed il PM nel processo che, con la condanna per corruzione, decretò la fine delle ambizioni da Presidente della Repubblica, di Michel Noir, il potente sindaco gollista della città. Delle circostanze della sua mancata nomina al posto di Direttore Generale dell’OLAF, quando doveva essere il successore naturale del Procuratore bavarese Franz-Hermann Bruener, ne ho parlato sul Riformista del 6 Novembre.

Sullo sfondo del Palamaragate e di Magistratopoli, ho intervistato Thierry Cretin chiedendogli il suo pensiero e la sua esperienza sul funzionamento della magistratura italiana.

Qual è stata la sua esperienza come pubblico ministero francese e come direttore delle indagini dell’OLAF con la magistratura italiana?

In un decennio all’OLAF ho avuto molti casi di collaborazione con le procure italiane in tutti i settori, se c’erano frodi a danno del bilancio dell’Ue. È quindi in questa veste che ho avuto molte opportunità di lavorare con i PM italiani, soprattutto perché l’Italia aveva grossi problemi con la criminalità organizzata, e l’OLAF doveva indagare su attività criminali di tipo finanziario, in Italia spesso in odore di mafia. La lunghezza di questa esperienza con l’Italia e la diversità dei pubblici ministeri italiani con cui ho dovuto lavorare, costituiscono un’ampia base di confronto.

Ha avuto un osservatorio sicuramente privilegiato a livello europeo.

Si, perché durante le indagini dell’OLAF mi sono confrontato con gli ordinamenti giuridici di ciascuno dei 28 paesi (prima della Brexit) dell’Unione europea, da nord a sud e da est a ovest. E anche con vari PM o giudici all’interno dello stesso paese a seconda dell’ubicazione dei fatti indagati. Ho anche avuto l’opportunità di scoprire, dalla nuova posizione che ho ricoperto, l’atteggiamento di molti miei colleghi francesi. Questo mi ha illuminato molto, perché le reazioni erano diverse tra loro. Per dirla semplicemente, ciò che era facile con uno era meno facile con l’altro, anche se tutti operavano secondo lo stesso sistema giuridico. È sempre fonte di stupore dal punto di vista dei principi delle democrazie dell’Ue, se si prende una posizione troppo personale.

Ma le posizioni non dovrebbero essere conformi solo alla legge?

Certo, ma sono anche consapevole che, nella vita quotidiana, l’esercizio della giustizia non può essere identico ovunque. Io stesso sono stato un pubblico ministero in città di dimensioni molto diverse e l’approccio all’azione penale non può ignorare questo aspetto. Anche se la giustizia è un’idea unica, il contesto non può essere ignorato.

E la sua esperienza con i PM italiani?

Con i pubblici ministeri italiani ho avuto esperienze ricche e varie, a volte stimolanti, altre volte meno. La cosa più sorprendente per il pubblico ministero francese che ero, è stato sicuramente il ruolo centrale svolto dal pubblico ministero italiano nell’apertura dei casi e nello svolgimento delle loro indagini. In Francia, la Procura della Repubblica è un punto chiave nell’attuazione del procedimento penale, ma il suo ruolo non è “monopolistico” come quello che ho visto in Italia.

Cosa vuole dire che il PM francese non è monopolistico?

Voglio dire che in Francia, per casi di certa gravità, il giudice istruttore riveste una posizione essenziale nello svolgimento delle indagini sul caso, in completa indipendenza da tutti i soggetti coinvolti nel procedimento, compreso l’accusa. Inoltre, in Francia, un denunciante può rivolgersi direttamente al giudice istruttore, senza passare dall’accusa.

Cioè non ci si rivolge solo alla Procura della Repubblica per denunciare un reato?

Esatto. È possibile. E si tratta di una garanzia offerta ai cittadini perché le procure sono sempre legalmente legate al ministro della Giustizia, cosa che non avviene in Italia. Nella mia collaborazione con colleghi italiani ho avuto spesso la percezione che abbiano una grande libertà nell’esercizio della loro attività. I pubblici ministeri francesi agiscono certamente con completa indipendenza e responsabilità, ma in un quadro più ristretto. In ogni caso, è quello che prendo dal confronto del sistema nel suo complesso.

Quali differenze ha riscontrato rispetto alla giustizia francese che, a livello continentale, è considerata la più simile a quella italiana?

Una delle differenze evidenti tra Italia e Francia è che il quadro giuridico non è lo stesso per quanto riguarda la valutazione dell’avvio delle azioni penali: i pubblici ministeri italiani devono obbligatoriamente avviare l’azione penale appena ricevuta la notizia di reato. Appena un fatto criminale viene portato alla loro attenzione.

Mentre in Francia, cosa accade?

I pubblici ministeri francesi hanno un cosiddetto margine di apprezzamento, cioè l’”opportunità”. In Francia, ciò si esprime parlando del principio di “legalità delle azioni penali”, la vostra “obbligatorietà”, contro quello di “opportunità delle azioni penali”. Quando l’OLAF ha presentato un caso a un pubblico ministero italiano, ha portato sistematicamente all’apertura di un procedimento giudiziario, mentre un caso simile rapportato ad un pubblico ministero francese potrebbe non sfociare in un procedimento penale o addirittura in un’indagine.

Ma ciò provoca una grande differenza sul piano dell’applicazione delle norme europee in Europa. E può spiegare anche l’altissimo numero di casi, anche di frode all’Ue, addebitati all’Italia.

Si, la differenza è significativa ed ha gravi conseguenze per lo svolgimento del procedimento, sia quello amministrativo dell’OLAF che quello giudiziario della Procura della Repubblica italiana, che si sostengono reciprocamente. In alcuni casi sono diventati più forti, in altri potrebbero indebolirsi.

In Italia si pensa che troppe inchieste giudiziarie vengano aperte notizie di reato fumose.

Durante la mia vita professionale, ho spesso espresso l’idea che un procedimento giudiziario penale dipenda in larga misura dalle fonti di informazione a disposizione dell’accusa. Ad esempio, un caso che viene aperto sulla base di una lettera anonima non può essere condotto come uno che viene aperto sulla base di una denuncia formale sottoscritta.

(2.Continua)

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