E “Si prega di inviare la dichiarazione di responsabilità secondo il DPR 445/2000”; prima frase da cui partire.
“La domanda di rottamazione non può essere accolta perché il ruolo della cartella è stato consegnato dopo giugno 2022”; seconda frase da tenere in considerazione.
La rottamazione fiscale 2023 ad oggi è chiusa. Prima la scadenza prevista dalla legge 197/2022 era il 30 aprile, ma successivamente il MEF, accorgendosi della mole di pratiche da gestire, ha suggerito al Governo di intervenire quanto prima a modificare il termine sino al 30 giugno 2023.
Fin qui nulla di problematico se non fosse che l’obbligatorietà di definizione per via telematica ha registrato un’assurdità: nessuna ricevuta rilasciata al contribuente che volesse concludere la procedura di rottamazione salvo che non facesse l’operazione tramite visibilità pubblica (con tutti i rischi del caso: errori di indicazione, ruoli fuori perimetro legislativo, ecc.).
Questa esperienza fiscale telematica ha avuto come conseguenza che il contribuente, non avendo ricevuta alcuna della procedura, si industriasse per chiederla all’Agenzia della Riscossione. Come? Ovviamente per via telematica e cioè mediante una istanza pec.
Per chi non sapesse cos’è la pec, si tratta dell’acronico di posta elettronica certificata. Dire “certificata” significa che a monte c’è stata una procedura di verificazione dell’identità digitale poiché fide facente – che fa fede – ad un pubblico registro informatico). Altrimenti a che serve la pec?
A questa istanza tramite pec, l’Agenzia delle Entrate Riscossione risponde (quasi nella totalità dei casi perché sottoposta alla normativa dell’accesso agli atti amministrativi) chiedendo, appunto, la famosa dichiarazione di responsabilità di cui si è detto all’inizio di questa analisi.
A che serve chiedere una dichiarazione di responsabilità a un soggetto al quale il sistema informatico e digitale ha già associato l’identità verificata è strano a capirsi. Si generano così lungaggini amministrative e aumento di documentazione da archiviare (e per la Pubblica amministrazione costa) oltreché, in alcuni casi, lo sforamento (seppure calmierato dalla risposta interlocutoria dell’Agenzia) dei termini della legge 241/1990.
Il cuore del problema, tuttavia, non è quanto sopra (che comunque rimane un grosso deficit), ma è il fatto per cui la legislazione vigente in materia di rottamazione 2023 non abbia previsto l’estensione del beneficio alla chiusura delle pendenze fiscali anche per coloro che hanno maturato il debito alla pari di altri, ma hanno avuto la sfortuna di vedersi affidare in carico il ruolo esattoriale dopo il 30 giugno 2022.
A titolo di esempio:
- il pasticciere Mario Rossi, aveva un debito con l’erario per Iva del 2017 e l’Ente impositore ha deciso di affidare in carico il tutto all’Agenzia della Riscossione a gennaio 2022;
- l’idraulico Giovanni Verdi, aveva lo stesso debito di Rossi con la differenza che l’Agente della Riscossione ha ricevuto in carico il ruolo a dicembre 2022.
Il primo si vedrà ammissibile la richiesta di rottamazione, il secondo evidentemente no.
È questa una palese violazione del principio di parità di trattamento (art. 3 Costituzione) e di imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Costituzione).
Ora, ponendo per ipotesi che la legge 197/2022 possa essere suscettibile di incostituzionalità sul tema esposto, come la si gestirà rispetto a tutti coloro che nel frattempo hanno subito pignoramenti, istanze di fallimento, ecc. non potendo più accedere alla fiducia nel mondo privato e a fonti di credito per pagare le imposte e le tasse?
È lo stesso problema che si pone per chi ha fatto istanza di rottamazione e si è visto catapultato in mondo di espropriazioni di credito, moneta, ecc. con procedura speciale (quella dell’art. 72 bis DPR 602/1973 per intenderci).
Tutti questi “contribuenti appesi” rischiano grosso così come coloro che hanno subito gli effetti della legge Pittella su cui, si spera, il Governo ed il Parlamento dovrebbero urgentemente intervenire per sanare i danni causati sinora ed a venire.
Alle porte c’è la sostenibilità della tenuta sociale.
A settembre c’è la questione della nota DEF al bilancio dello Stato.
A fine anno chissà quante piccole e medie partite iva potranno ancora produrre ricchezza in questo sistema di cose.
Allacciate le cinture al Paese.
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