Càpita ogni tanto di trovarsi per le mani un testo fondamentale che non ha ottenuto la giusta attenzione mediatica. E’ il caso del saggio di Ernesto Maria Ruffini, attuale capo dell’Agenzia delle entrate, col suo Uguali per Costituzione. Storia di un’utopia incompiuta dal 1948 a oggi (Feltrinelli, 2022, 378 pp., 25€).
Una passione che nasce a 18 anni
L’autore è un avvocato tributarista, ma in queste pagine ha messo il cuore e una passione venticinquennale verso il diritto e la Costituzione, da quando i suoi genitori gli regalarono, per il diciottesimo compleanno, gli otto volumi dove sono raccolti i lavori dell’Assemblea costituente della nostra Repubblica. Da allora, ormai nell’altro secolo, Ruffini ha studiato, analizzato, soppesato, ponderato il significato giuridico, politico, sociale della nostra Legge fondamentale. Il risultato è questo libro, incredibilmente di agile lettura, rivolto ai non specialisti e tuttavia arricchente come pochi altri. In queste pagine troviamo dunque la storia di una Repubblica che cerca di realizzare, nella sua ottuagenaria vita, il concetto basilare giuridico di “uguaglianza” declinandolo in tutti i modi possibili.
Si parte dalla base: il principio di uguaglianza davanti alla legge. Lo si guarda dal punto di vista sincronico e diacronico, storico e dell’oggi. Lo si eviscera rispetto ai suoi nemici: le leggi ad personam e quelle ad categoriam. Si analizzano gli strumenti di quella uguaglianza: il diritto al gratuito patrocinio nel processo e la parità delle parti nel processo.
Un’uguaglianza di tutti e di ciascuno
Poi si passa all’uguaglianza delle opinioni. Nell’informazione e nella libertà di stampa. L’uguaglianza religiosa e la laicità dello Stato. L’uguaglianza tra uomo e donna. Nella famiglia. Tra i figli. Degli studenti. Dei malati. Dei lavoratori. Degli stranieri. Dei detenuti. Del voto. Dei partiti e nei partiti. Dei contribuenti. Diciotto capitoli col complemento di un apparato di note e di suggerimenti bibliografici che soddisferanno gli specialisti.
Il punto di forza di questo saggio è che l’autore parte dalla Costituzione, per poi espandere l’analisi in due direzioni: all’inizio la genesi, il dibattito in assemblea costituente da parte dei padri e delle madri costituenti che portò alla determinazione e al lessico di quel dato articolo in quel dato modo, spiegando le alternative, i valori, i principi che si sono ponderati e inclusi. Dall’altro il dibattito politico successivo, lungo la vita di una Repubblica che ha certamente avuto alti e bassi, ma che ha continuato a camminare hegelianamente verso un traguardo di via via maggiore uguaglianza, maggiore pluralismo, maggiore inclusione.
Dalla Costituente al governo Draghi
In alcuni casi questo dibattito si fa attualità perché i temi scelti portano a che l’autore spieghi le conseguenze sull’oggi, citando fino al governo Draghi in carica al momento della pubblicazione. La forza di Ruffini credo stia nella franca chiarezza espositiva, nel desiderio di risultare comprensibile anche al lettore comune a digiuno di studi giuridici.
Ruffini non è un costituzionalista, non si perde in gerghi giuridici di dubbia utilità o in citazioni colte valide solo per far vedere di aver fatto le giuste letture. Va al nòcciolo della questione e dipana la eventuale polemica con un’analisi legislativa, più che di filosofia politica. Ripercorre le riforme, le leggi e la ratio che portò a quelle determinazioni nel tempo.
In questo modo la Costituzione viene davvero fuori come quell’organismo vivente di cui parlò Paladin, se non sbaglio, e l’autore ti prende per mano fino a portarti a spiegare le conseguenze del dettato costituzionale e i tentativi di avvicinamento allo spirito della Legge da parte di Parlamenti che, in diverse epoche, han fatto quel che potevano, non sempre in modo lineare o razionale.
La centralità assoluta della scuola pubblica secondo Calamandrei
Un manuale eccezionale, che dovrebbe essere adottato in tutte le scuole per spiegare il midollo della nostra Costituzione. E proprio alla Scuola Ruffini dedica una delle citazioni più pregne, di Pietro Calamandrei, sulla funzione della Scuola come formatrice delle classi dirigenti. Una citazione lunga, che vale la pena riportare per intero in questi malerrima tempora in cui la Sinistra italiana e tanti intellettuali ammantano il concetto di merito e meritocrazia come un disvalore, o addirittura un valore di “destra”. Sentite un po’ cosa diceva in proposito il padre della patria Calamandrei, azionista, sulla funzione della scuola:
«La scuola pubblica è un organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente. La formazione della classe dirigente non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede in Parlamento e parla (e magari urla) che è al vertice degli organi più propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti. Questo è il problema della democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine. No. Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall’afflusso verso l’alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le categorie. Ogni classe, ogni categoria deve avere la possibilità di liberare verso l’alto i suoi elementi migliori, perché ciascuno di essi possa temporaneamente, transitoriamente, per quel breve istante di vita che la sorte concede a ciascuno di noi, contribuire a portare il suo lavoro, le sue migliori qualità personali al progresso della società. […] A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole e di dignità. Ma questo può farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali. […] la scuola elabora i migliori per la rinnovazione continua, quotidiana della classe dirigente» (pp. 126-7).
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