E’ passato un anno dall’omicidio di Giulia Cecchettin. Ricordo bene quanto l’opinione pubblica rimase scossa dagli eventi, dall’attesa della ricerca del corpo, dalle perlustrazioni sulle sponde dei torrenti, fra i rami, nel freddo. Si disse che il suo carnefice era un “bravo ragazzo”, che i genitori non avevano potuto immaginare, che era geloso sì ma come tutti.
Si disse che il patriarcato, inteso nel senso etimologico del termine, non esiste da decenni ed in tal senso si prodigarono sociologi e politici pronti a negare che si stesse parlando di un fenomeno generale quanto piuttosto di un singolo, fortuito e isolato caso di omicidio. Mesi dopo si continuava a ritrarli insieme, abbracciati, in quelli che erano gli scatti fotografici ai tempi della loro relazione: la vittima con l’omicida. Tutta Italia stretta nel pianto per quella giovane ragazza riviveva ancora una volta l’ingannevole trattamento mediatico riservato ai femminicidi: l’amore malato, l’uomo abbandonato sofferente, il raptus imprevedibile. Niente di vero.
Da allora ad oggi altre 97 sono state le donne uccise per mano del proprio compagno (dati Osservatorio nazionale Non Una Di Meno) e il copione è sempre lo stesso in una statistica che da decenni non registra mai un calo a dimostrare la sistematicità e l’impermeabilità culturale a tali tragedie. Perché il femminicidio è solo la punta di un iceberg di violenze fisiche, verbali e sociali a cui chiaramente nessuno intende rinunciare (e se poi ci scappa il morto, la si chiami sfortuna). Che parlino i numeri: in Italia il 30% delle donne istruite lascia il lavoro dopo il primo figlio, il 50% dopo il secondo (dati Save the Children) diventando così poi totalmente dipendenti dal proprio compagno.
Una donna su cinque ha subito violenza fisica. Le forme più gravi sono esercitate da partner, parenti o amici. Anche schiaffi, i calci, i pugni e i morsi sono per la maggior parte opera dei partner o ex. Oltre alla violenza fisica o sessuale le donne con un partner subiscono anche violenza psicologica ed economica, cioè comportamenti di umiliazione, svalorizzazione, controllo ed intimidazione. Si stima che il 20% abbia subito comportamenti persecutori (dati Istat). A tutto ciò si aggiungano le pressioni sociali, le vessazioni e le discriminazioni di genere sul lavoro (una donna su due dichiara di averne subito).
Davvero non lo sapevate? Davvero ci si può ritenere estranei a questa piaga sociale che arriva a mietere vittime in un equivoco generale che li fa passare per “omicidi romantici”? Che parlino i fatti nella loro crudezza: Giulia Cecchettin (75 (!) coltellate), Rosa D’Ascenzo (spinta giù dalle scale), Nadia Gentili (fulminata alla testa con una semiautomatica), Giada Zanola (buttata giù dal cavalcavia dell’autostrada), Giulia Tramontano (avvelenata e uccisa con 37 coltellate al volto e al petto), Alessandra Matteuzzi (uccisa a martellate e una panchina), etc. Fino a quando si continuerà a pensare che “non potevamo immaginare”, che “erano tanto dei bravi ragazzi”, che, se va bene a noi, il problema non esiste, la violenza sulle donne non cesserà mai.
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