Il voto nella Capitale
Bobo Craxi e la campagna elettorale per Roma tra maglietta, chitarra e socialismo dei padri
L’altroieri, Bobo Craxi, capolista, “frontman”, del Partito socialista italiano, Garofano ritrovato, risorto sghembo nel simbolo, attualmente candidato a Roma, la sua lista per Gualtieri sindaco, si è recato, credo, a Centocelle. Lì è apparso, puro miraggio, a una signora. Bobo, sui social, ha raccontato così: «Piccola Storia Elettorale: la signora si avvicina mentre parlo, ‘Ma è Craxi!’, dice rivolta all’amica, poi mi interrompe ripetutamente: ‘Ma lei è Craxi, ma non aveva i capelli? Sa, l’ho riconosciuta dalla voce…’ E sempre la signora aggiunge: ‘Ma che fine avete fatto? Si stava bene quando c’erano i socialisti, io me lo ricordo, ma siete spariti, ma che fine avete fatto? C’era il mio vicino di casa (fa il nome) che era socialista… Ma perché siete spariti? Quando c’era lei si stava bene’. ‘… era mio padre, signora…’. ‘Ah, che peccato, si stava meglio comunque quando c’era Craxi…’, diceva all’amica, che intanto annuiva».
Bobo Craxi appare, innanzitutto a stesso, felice per la nuova umana impresa, che lo rimette nel girmi della politica e ancora di più del vissuto quotidiano, pubblico. Si sappia, a scanso di equivoci, che Bobo Craxi è amico tra più cari, insieme, periodicamente, con Youtube, canale “Teledurruti”, condividiamo una ripugnante e improbabile rubrica di varie ed eventuali intitolata, per antifrasi, “Gauche caviar”. Autoironia d’obbligo, perfino sulle traversie, compreso il ricordo del lancio di monete su Bettino, suo padre, all’Hotel “Raphael” di Roma. Era, forse, il 1991? Dunque, confesso d’esserne complice, nell’aldilà di ciò che Pasolini, raccontando una domenica altrettanto elettorale del lontano 1963, voluta dall’allora sezione del Pci di Forte Aurelio-Brevetta, per ricordare il martire della dittatura franchista Julián Grimau, definisce opportunamente la Dopostoria.
Sappiate ancora che personalmente ero “comunista”, lui invece “socialista”, figlio di Bettino; l’epilogo cumulativo delle singole storie e del destino è noto ormai a tutti. Bobo Craxi, per chi non ne fosse al corrente, oltre a suonare la chitarra – il repertorio vola dall’amico Francesco De Gregori a Chico Buarque de Hollanda a James Taylor – conosce la storia, anzi, ha contezza d’ogni puzzle geopolitico planetario. Sarebbe un assai presentabile ministro degli Esteri, inviato nelle aree di crisi: l’uomo troverebbe parole e modi adatti a ogni contesto. Né gli difetta l’ironia, e anche le pause che hanno reso paradigmatico già l’eloquio del papà. Adesso, ricordando il titolo “C’era una volta Craxi” sulla prima pagina de l’Unità, prontamente accostata per nemesi sulla tomba di Berlinguer all’indomani delle sue dimissioni da segretario all’Hotel “Ergife”, certuni obietteranno come sia possibile che un già “comunista” spassionatamente possa adesso immaginarsi sotto un Garofano.
Costoro, suppongo abbiano in mente, tanto per usare una sineddoche, la parte per il tutto, come spauracchio, metti, il viso onusto d’abbronzatura, colorito degno di un portafoglio di coccodrillo, dell’architetto Silvano Larini, giusto per fare ritorno a un figurante faccendiere della stagione di “Mani pulite”. Neanche i ricordi più spettrali, antropologicamente parlando, e riferiti alla sfera del gusto, mi hanno tuttavia impedito di provare pienezza accanto a Bobo Craxi. Sotto la bandiera, l’unica ancora rossa, legata in questo caso alla memoria risorgimentale, garibaldina e perfino massonica. Detto sempre per inciso, al contrario dei Turati e dei Treves, i comunisti rifiutarono le barbe. Solo pochi mesi, negli anni dell’“Ordine Nuovo”, Togliatti si mostrerà appena con i baffi. Questi sono però dettagli, finezze, almeno per chi abbia contezza della memoria storica, nel ricordo della “canaglia pezzente”, così nei canti socialisti e anarchici veniva definito, sempre per antifrasi, il Quarto Stato.
Ora, nel presente, ogni qualvolta Bobo Craxi raggiunge Primavalle o Tor Bella Monaca o Portuense, come Woody Allen-Zelig, sembra di ravvisarlo mentre irrompe proprio nella tela di Pellizza da Volpedo; abbigliamento informale, maglietta blu e pantaloni di lino chiari; casual risorto. Nell’indifferenza per la cosa politica stessa, in assenza di un presidio territoriale, corpi intermedi, qual era un tempo la sezione di partito, per non accennare all’evaporazione della Sinistra, l’attuale scommessa di Bobo Craxi, segnata oltretutto da piacere ludico, sembra mantenere intatta la “fiaccola”, il “germe della storia antica”, espressione ancora assunta da Pasolini. Restando nell’antinomia socialisti-comunisti, doveroso ricordare che Togliatti si rivolgeva al poeta Pasolini con alterigia da preside a supplente. Diversamente, Pietro Nenni gli risponde invece con affetto “da compagno a compagno”.
Nel vuoto d’ogni simbolico, nella consapevolezza dei detriti politici d’ogni forma di rappresentanza, assodato che i corpi intermedi dei partiti sono stati obliterati a favore di un indistinto estraneo a ogni sentire “civile”, l’avventura di Bobo nostro, alle cui spalle riverbera il rosso della bandiera, giunge almeno ai miei occhi come l’unica forma d’avvenire per la memoria – un semplice girino, eppure – senza la quale si è un poco lemuri ciechi, condizione nella quale si è ridotta la sinistra negli ultimi lustri. Sarà pure una scommessa psico-geografica, direbbero i situazionisti, cioè come immaginare il mare ai Castelli, tra Frascati e Grottaferrata, eppure la sua impresa sembra ridare un senso di pienezza al simbolico, magari soltanto di marcia, prove tecniche di ritorno della Sinistra, è però già tanto. Avanti, Bobo!
© Riproduzione riservata