Ha poco più di vent’anni e vive nella periferia abbandonata dallo Stato
Bomba a Ponticelli, la forza di Mariarca: “Noi restiamo qui ma politica e malavita stanno distruggendo questo posto”
Mariarca dice di avere paura. Per i suoi genitori, per i suoi fratelli, per se stessa. Vorrebbe andar via in un istante, lasciare tutto e trasferirsi altrove ma è un pensiero che non dà sollievo perché significherebbe abbandonare i luoghi del cuore, quelli dove è nata e cresciuta, quelli dove ci sono i suoi affetti, le sue certezze. «In realtà le poche certezze che ho, perché se abiti qui non ne puoi avere molte. Non ho un lavoro e ho dovuto lasciare gli studi in fretta ma questo è il posto dove ho sempre vissuto – racconta – Certo, vorrei che fosse diverso e mi arrabbio se penso che basterebbe poco per renderlo giù un po’ più vivibile», dice con la voce che tradisce l’eterno dilemma con il quale è costretta a convivere lei come gran parte della gente che abita le periferie di Napoli. Mariarca ha poco più di vent’anni e vive a Ponticelli.
Anche lei ieri notte è stata svegliata di soprassalto dal boato della bomba piazzata sotto a un cavalcavia. Hanno tremato porte e finestre, gli allarmi di qualche auto in strada hanno cominciato a suonare impazziti. Era passata la mezzanotte da una mezz’ora circa quando il cavalcavia di via Angelo Camillo de Meis, nel cuore del quartiere Ponticelli, profonda periferia a est di Napoli, si è illuminato per un attimo circondato da una nube di fumo. Una bomba era appena esplosa. Lì, proprio a pochi metri da una serie di palazzi, il Parco Topolino, e dall’ospedale del Mare, la grande struttura nata per smistare una buona fetta delle emergenze sanitarie del territorio ma indirettamente anche per dare nuova vita a un rione fatto di cemento e degrado. Senza servizi, con aree verdi limitate e maltenute, con palazzotti circondati da strade vuote. Mariarca si guarda intorno con lo sguardo di chi riesce ancora a stupirsi di fronte a un panorama che è sempre lo stesso (purtroppo) da anni. «Mi sembra di essere in una di quelle città dell’Ucraina che stanno bombardando, è assurdo», afferma immaginandosi a suo modo nel bel mezzo di una guerra (di camorra).
«Sarebbe facile andare via da qui, cambiare quartiere, cambiare città – aggiunge consapevole che non sarebbe comunque la soluzione – ma non voglio, perché l’avrebbero vinta loro, quelli che questo posto lo stanno distruggendo e non parlo solo di quelli che fanno la malavita ma parlo anche dei politici, di chi per anni non ha mosso un dito per fare in modo che le cose da queste parti cambiassero veramente. Si fanno piccoli interventi una volta ogni tanto e si fanno per il resto troppe parole, troppe promesse inutili». Mariarca scuote la testa. «Chissà se mai accadrà questo miracolo», dice con l’aria di chi proprio non vuole rassegnarsi al triste destino in cui da anni sono abbandonate le periferie napoletane. Forse bisognerebbe viverci in una di queste periferie per coglierne l’essenza e le potenzialità, per rendersi finalmente conto di tutto ciò che manca e che invece non dovrebbe mancare a chi vive da quelle parti, agli anziani, ai bambini, agli studenti, ai lavoratori, alle famiglie. Per capire cosa si prova a uscire ogni giorno e percorrere strade dove non ci si sente mai al sicuro. Ieri notte poteva esserci chiunque a ridosso di quel cavalcavia e il raid avrebbe potuto avere qualunque epilogo. Per fortuna non si sono registrati feriti né danni particolari alla struttura.
Resta il terrore in cui è sprofondato il rione. Perché è chiaro a tutti che quella bomba è un segnale della camorra, è il messaggio con cui qualche boss della zona ha deciso di dare una dimostrazione di forza. Ponticelli è storicamente uno dei quartieri che sulla mappa geocriminale di Napoli è sempre stato cerchiato di rosso. Lì si sono alternati negli anni vari capiclan, ogni volta alla guida di gruppi di affiliati che si formavano da altri gruppi via via che questi venivano decimati da arresti o da faide. La camorra si rigenera, si dice così. La gente del posto, invece, vive in una rassegnazione che spesso diventa silenzio, che si trasforma in omertà, che porta alla fuga quando ci si può permettere di fare i bagagli e trasferirsi altrove o al puro terrore quando si è costretti a restare nell’unica casa dove si può vivere, nell’unico quartiere dove si è vissuti, restando ad ascoltare i teorici dell’antimafia e i politici di turno pronunciare proclami o promesse che si dicono ogni volta che in quel quartiere c’è un morto ammazzato in strada o una bomba piazzata sotto a un ponte, accanto a un palazzo, vicino a un ospedale.
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