“Cara Cedu ti scrivo”. O ti offro braccialetti elettronici? Ieri mattina alle nove e cinquanta, dieci minuti prima che scadessero i termini concessi dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il ministro di Giustizia italiano. Alfonso Bonafede, ha spedito la lettera di spiegazioni su come intende risolvere il problema di un detenuto di Vicenza costretto alla convivenza in una cella molto piccola che gli impedisce di mantenere la distanza che lo salvaguardi dal pericolo di contagio da Covid-19. Ma, poiché il sovraffollamento delle carceri italiane è cronico e difficilmente risolvibile se non con provvedimenti di amnistia e indulto o quanto meno con molte scarcerazioni di coloro che sono in fine pena, la Cedu vuol sapere come il Guardasigilli intenda affrontare il problema del distanziamento fisico tra detenuti. Oppure dell’apertura di porte e portoni in modo da ridurre drasticamente il numero dei prigionieri e di conseguenza aumentare gli spazi vitali negli istituti di pena.

Non sappiamo cosa ha scritto Bonafede nella risposta alla Cedu, perché il ministro non ha voluto rendere pubblica la sua risposta. Evidentemente lui non considera il problema delle carceri un problema politico da discutere pubblicamente. Il Coronavirus abita ormai il mondo intero, e la gran parte degli Stati si è premurata di evitare che l’epidemia faccia strage all’interno delle carceri. Si sono aperti i cancelli delle prigioni in Francia e negli Stati Uniti, ma anche in Marocco piuttosto che nello Zimbawe, con provvedimenti anche di grazia o di amnistia. Ieri persino il regime di Erdogan ha battuto in democrazia il governo Conte, e anche le nostre Camere. Il Parlamento turco ha infatti votato a larga maggioranza un disegno di legge che tra amnistia e libertà condizionata scarcera 90.000 detenuti.

Solo chi è stato condannato per i reati più gravi, come quelli di terrorismo (in cui purtroppo rientrano i dissidenti politici), droga, omicidio o violenza sessuale sarà escluso dal provvedimento. Che è stato voluto dallo stesso Erdogan come misura per affrontare il Coronovirus, che in Turchia ha raggiunto 60.000 persone e ne ha uccise 1.296, e impedirne la diffusione nelle carceri, dove si contano già 17 persone infettate e tre decedute. Mi fido di voi, ha detto il presidente nell’aprire le porte.

Una preoccupazione che non pare turbare i sonni di Alfonso Bonafede. Avremo 4.700 braccialetti elettronici in più, ha annunciato serafico e festante due giorni fa, dopo che il commissario Arcuri si era preoccupato di stipulare un contratto con Fastweb, visto che il governo Conte vuole gli uomini o prigionieri intramurari o a casa ma con la palla al piede. E si devono ringraziare soltanto i tribunali di sorveglianza se in questo momento nelle carceri italiane ci sono “solo” diecimila detenuti in eccesso rispetto alla capienza.

A nulla sono valse finora le accorate e ripetute parole di papa Francesco e neanche l’appello del Procuratore generale di Roma Salvi perché si applichino le leggi che consentirebbero di dare un po’ di respiro e di spazio a tutti coloro che lavorano o che sono reclusi all’interno degli istituti di pena. Né sono stati sufficienti i quaranta contagiati né i morti, sia tra i detenuti che tra gli agenti e i medici penitenziari. Bonafede pare impassibile, mai una goccia di sudore è stata vista attraversare la sua fronte, né una ruga gliela ha fatta aggrottare per la preoccupazione delle condizioni di salute del popolo delle carceri.

Persino il timido decreto Cura Italia del 17 marzo, che peraltro era solo una modesta rimasticatura di provvedimenti precedenti, ha sortito effetto alcuno. Per la questione della palla al piede. Caro detenuto, pare dire il ministro, anche se hai una condanna lieve, da scontare in pochi mesi, anche se so che (purtroppo) tra poco saresti stato completamente libero. Anche se il decreto che sono stato costretto a firmare ti consente di andare a casa, agli arresti, ti voglio anche umiliare mettendoti la palla al piede, cioè il braccialetto elettronico.

 

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.